Jazzwerkstatt – JW113 – 2012
Augusto Pirodda: pianoforte
Gary Peacock: basso
Paul Motian: batteria
Siamo nei dintorni del jarrettiano At the Deer’s Inn o, più a ritroso, del poco praticato, evansiano Trio ’64, come e senza iperboli ci suggerisce almeno la medesima, suggestiva sezione ritmica?
Per il suo quinto album, realizzato a New York con la supervisione del conterraneo Manolo Cabras (autore di due tracks) il pianista Augusto Pirodda ha potuto avvalersi di due partner quantomeno d’eccezione, tra cui un Paul Motian evidentemente ai suoi ultimi impegni di studio, pur regolarmente affrontati con la grinta di sempre, ed un Gary Peacock che, non solo nel Jarrett trio di cui sta ultimamente sollecitando la dissoluzione, ha sempre caratterizzato in preziosità e classe i suoi ormai innumerevoli interventi.
Solista e autore che “non le manda a dire” ma palesemente investito sul campo, classe 1971, attualmente di stanza nelle Fiandre, Augusto Pirodda aveva già conferito estesa forma alla sua arte in Moving, prova in solo per certi versi complementare all’attuale, ma differendone in quanto apparentemente più devoluto ad una personale immersione verso le sorgenti della melodia, nonché più investito su un impatto fisico su e contro la macchina-pianoforte, lungo un senso narrativo non convenzionale ed estesamente operante entro una dimensione privata.
Alleggerito nei volumi e toccato da un senso della ricerca meno dichiarato, No Comment trova grande fondamento nella triangolazione a parti nella sostanza eguali con partner d’eccellenza che non abbassano la guardia nel loro standard partecipativo, come si palesa nei due momenti di comune creazione del trio: It begins like this e I don’t know, collettive e interattive “composizioni spontanee”, aprono già l’album con il senso dell’ascolto reciproco e dell’improvvisazione “forte”, laddove il versante della scrittura guadagna completezza in momenti di peculiare fascino a firma del pianista, di maggior leggibilità ed afflato lirico, si seguano i flussi spezzati e salmodianti di Seak Fruits o le increspate, ipnogene solennità di So?, in cui meglio si palesano la fraseologia di senso aperto, le agglutinazioni accordali, la melodicità pluviale intessute dal pianista, in funzionale sinergia con il drumming petroso e scintillante di Motian e le eloquenze d’ancorato velluto del basso di Peacock.
Sempre di particolare interesse le note di copertina, ma in generale i contenuti dell’etichetta berlinese Jazzwerkstatt di Ulli Blobel, per la quale questa sembra essere la prima leadership italiana e che, oltre alle forti presenze dell’area germanica (Peter Brötzmann, Ulrich Studer, fino ai più giovani Hyperactive Kid o Silke Eberhard e via dicendo), si è cimentata anche con interessanti riedizioni di grossi nomi quali Lacy, Waldron, Evans – che si ritiene abbiano causato al produttore anche delle angustie in termini di copyright.
Nessuna angustia invece, o esitazione, nell’accogliere la poetica “concreta” del pianista cagliaritano, che fa suo un fascinoso lavoro di sottrazione ove s’intessono tensioni e attenzioni spesso atipiche; non parco di preziosismi, toccante ma anche poco concessivo, No Comment permane lavoro d’interesse saliente nel farsi primariamente espositivo di un camerismo personale ed anti-calligrafico, che mette da parte strategie estetizzanti comunemente intese per lasciar più adeguatamente luogo, come il riascolto avvalorerà, a contemplazioni improntate ad un umanesimo importante e di sostanza.