Foto: da internet
Slideshow. Diego Petrucci.
Jazz Convention: Ci racconta subito il primo ricordo che ha della musica?
Diego Petrucci: Nella mia famiglia cantavano o suonavano un po’ tutti: mio padre, mia madre nonni e zii. Quando ero piccolo era normale trovarsi la sera e cantare insieme; i primi accordi sulla chitarra me li ha insegnati mio padre che sapeva armonizzare molto bene e con accordi “giusti”, quelli con le settime e i colori, perché aveva suonato la chitarra nelle orchestrine che, subito dopo la guerra, si esibivano un po’ ovunque nelle osterie e nei locali; per me è stato naturale voler suonare e cantare. A dieci anni sono stato avviato allo studio della fisarmonica ma è durato poco, poi ho iniziato con la chitarra e successivamente col basso.
JC: Quali sono i motivi che l’hanno spinta – oltre la professione dell’architetto e del docente – a diventare anche jazzista?
DP: Diciamo che ho deciso di diventare musicista molto prima di laurearmi in architettura o di fare il professore, volevo suonare perché vivevo momenti di grande coinvolgimento emotivo e perché mi piaceva stare con gli amici, più tardi la musica mi ha coinvolto culturalmente e professionalmente e mi è piaciuto provare di tutto; in realtà ho oscillato tra le tre attività e, di volta in volta, ha prevalso una rispetto alle altre, ma non sono mai riuscito a liberarmi di nessuna. Probabilmente non ho ancora capito cosa fare da grande ma mi va bene così. A un certo punto non farò più l’architetto e non insegnerò più, ma suonerò finché mi sarà possibile.
JC: Perché ha scelto proprio il contrabbasso?
DP: Il contrabbassista è un musicista che ha la necessità di suonare con altri, e io sono uno spirito gregario, per me la musica è suonare insieme per ottenere dei risultati; d’altra parte il contrabbasso suona la base armonica e questo è molto gratificante perché ti permette di sostenere tutti gli altri, non riesco a pensare a una musica che prescinda dalla parte del basso. E poi perché mi piace lo strumento.
JC: Che tipo di musicista pensa di essere: folk, jazz, world, rock-folk o altro ancora?
DP: Quando ho iniziato a suonare in pubblico avevo quattordici anni e si suonava per far ballare, il repertorio erano le canzoni del momento, erano i tempi in cui le ragazzine stravedevano per chiunque suonasse, era una cosa buona. Poi ho suonato canzoni d’autore e successivamente nei night-club, più tardi ho studiato contrabbasso e ho suonato musica classica e mi sono avvicinato al jazz, ho suonato musica sperimentale, free, blues, sud-americana, folk e non so che altro: che tipo di musicista sono? Forse soltanto un musicista curioso.
JC: Qualche ricordo di grandi jazzmen piemontesi?
DP: Mi ritengo fortunato per aver avuto l’occasione di suonare con alcuni artisti fenomenali: tra tutti il vercellese Gianni Dosio, i torinesi Piero Pollone e Alberto Mandarini e occasionalmente l’astigiano Gianni Basso. C’è stata un estate in giro con la Banda Osiris che mi ha insegnato tantissimo sul significato di spettacolo.
JC: Quali sono i musicisti con cui ama collaborare,?
DP: Oltre i Lun-a Nova, gruppo neo-folk, attualmente suono in due big band jazz e in un gruppo di musica sudamericana e jazz di cui fanno parte la cantante Debora Rossetti, Renzo Rigon, il pianista Mamo Buffa, Mauro Ghiani e Claudio Montagnoli a percussioni e batteria, mi ha sempre divertito suonare con Claudio Saveriano, Luigino Ranghino e Francesco Aroni Vigone con cui ho iniziato a suonare jazz, mi piacerebbe fare ancora qualcosa con loro. Mi diverte suonare con Franco Perone con cui condivido la passione per il rhythm and blues, inoltre per un musicista è sempre un piacere suonare con il Dosio, per il suo modo lieve e competente di guidare i gruppi.