Slideshow. Paola Mei

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Slideshow. Paola Mei.


Jazz Convention: Così, a bruciapelo chi è Paola Mei?


Paola Mei: Una che canta sempre, da sempre.



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


PM: Gli Zecchini d’Oro degli anni Settanta e i dischi di Mina di mia madre!



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare una cantante?


PM: In verità non mi sono mai resa conto che stavo diventando una cantante. Cantare è sempre stato il mio modo di esistere, il canto era ed è il mio atto di coraggio quotidiano. Quindi se faccio un’analisi a ritroso, non ritrovo il momento o il motivo preciso, se non quando mi sono licenziata dall’Olivetti (a Ivrea negli anni Ottanta-Novanta si lavorava tutti all’Olivetti) senza pensarci troppo e sono andata a Parigi a inseguire un sogno.



JC: E in particolare come mai se diventata una cantante jazz?


PM: Negli anni Ottanta in Piemonte, o entravi in Conservatorio a cantare la lirica o andavi al Centro Jazz di Torino, dove insegnava la grande Francesca Oliveri. Lì ho scoperto il canto jazz, non è stato amore a prima vista, ci sono entrata pian piano, me lo sono messo a posto per me, come una casa e ora il jazz è la mia casa. Faccio anche altro per “sbarcare il lunario”, ma casa mia è il jazz.



JC: Ma appunto cos’è per te il jazz?


PM: L’immagine è una vela tesa che fila veloce sull’acqua: il mare è l’armonia, il vento è l’improvviso, la barca sei tu, e tutto è energia che spinge avanti, verso l’infinito, non sai dove stai andando, ma vivi ogni momento in pienezza totale.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?


PM: L’idea è quella di una musica totalizzante, molte persone che incontro mi dicono che loro il jazz non lo capiscono e io rispondo loro che lo capiranno quando smetteranno di volerlo capire. Chi suona il jazz è pari con chi lo ascolta perché vive e condivide nello stesso momento l’esperienza della creazione e non c’è davvero niente da capire…



JC: Se non erro, hai iniziato con il gospel (o spiritual); ma cosa rappresenta per te la musica gospel?


PM: La musica gospel è la musica della terra, una volta che comprendi la sua provenienza dal basso, dalla vibrazione, dal puro istinto, allora è una gioia continua. E poi il gospel è “coro” e io amo immensamente cantare in coro, è un’esperienza unica di comunione. Dirigo un coro gospel da 13 anni il Quincy Blue Choir, e mi ritengo una persona privilegiata per questo!



JC: Tra le canzoni che hai cantato ce ne sono due-tre a cui sei particolarmente affezionata?


PM: You Go To My Head, La Voce Del Silenzio, Retrato Em Branco E Preto: sono una romantica si capisce?


PM:


JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?


PM: Take Love Easy di Ella Fitzgerald & Joe Pass, Ballads di John Coltrane, uno qualsiasi di Marisa Monte e Gershwin World di Herbie Hancock



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?


PM: Francesca Oliveri è colei che più mi ha insegnato sul canto e sulla tecnica vocale, il flash sull’improvvisazione l’ho avuto con Bob Stoloff e poi Luigi Bonafede che mi ha insegnato che jazz non è solo suonare o cantare. Nella cultura io sono una curiosa onnivora, non ho maestri perché ho sempre vissuto l’arte a prescindere dagli artisti, a volte “conoscere” gli artisti può essere deleterio. Nella vita, mio marito Gian Franco che mi ha insegnato a “fermarmi” sulle cose belle, a dar loro importanza, mi ha fatto conoscere il nome degli alberi e gustare i colori di un quadro, e i miei figli che hanno zittito la banda che mi suonava intorno e spostato il baricentro dell’Universo da me a loro.



JC: E i musicisti (o cantanti) che ti hanno maggiormente influenzato?


PM: Nel canto sicuramente Ella, Billie e Mina, ma anche Stevie Wonder e Al Jarreau. Nella musica, come ogni cantante che si rispetti, ho pochi dischi non di cantanti, tra questi Trane, Miles, Bill Evans, Herbie Hancock.



JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?


PM: Il primo concerto di ContaMinata, dove ho unito Mina e il jazz, praticamente ciò che sono!



JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?


PM: Luigi Bonafede, che è un amico vero, Marco Ghiringhello, con cui non faccio jazz, ma suonare con lui è una gioia sempre, Sandro Gibellini che è persona adorabile oltre che immenso musicista, e quel mattacchione di Alberto Marsico, fantastico compagno di musica. E poi il mio coro, che è come cantare nel soggiorno di casa.



JC: Come vedi la situazione della musica in Italia?


PM: Non mi voglio lamentare, si lavora poco, sì, ma ho fiducia che la musica e la cultura diventino in un futuro molto prossimo, la vera vocazione dell’Italia, non può essere altrimenti. Sono ottimista. Certo è che i musicisti sono una categoria difficile da mettere insieme per un qualsivoglia progetto, ma è un discorso lungo e molto articolato, se vuoi ti mando una relazione a parte [sorride].



JC: Tu sei anche didatta; ti piace insegnare?


PM:
Insegnare mi piace molto e sempre di più. Mi ritengo una educatrice nel senso etimologico del termine.



JC: E cosa offri e cosa ricevi dai tuoi allievi?


PM:
Cerco di “condurre fuori” da ogni allievo ciò che ogni allievo già è. Ogni giorno ricevo amore e conoscenza, i ragazzi di oggi sono profondamente diversi da ciò che eravamo noi negli anni Ottanta, il lavoro di didatta mi permette di entrare in un mondo che altrimenti mi sarebbe precluso



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


PM: Voglio ritornare a cantare nei club. Ma non ti dico ancora niente…