Foto: Alessandro Brunod
Il futuro nelle corde. Incontro con Maurizio Brunod.
Profilo artistico già consolidato per il chitarrista 45enne da Ivrea, con oltre 30 partecipazioni discografiche all’attivo, militanze e progetti pluristilistici che oltre alla regolare pratica con formazioni di musica progressive, latina e world hanno compreso una sempre maggiore apertura a sperimentazione e avant-garde. Una carriera tuttora in crescita, e coronata da prestigiose collaborazioni che, oltre a forti personalità nostrane hanno compreso nomi di primissimo rilievo quali John Surman, Ralph Towner, Alexander Balanescu e il più regolare partner Miroslav Vitous, oltre a diversi altri nomi e movimenti ispiratori, di cui ampiamente discutiamo con il variamente attivo strumentista e compositore.
Jazz Convention: La chitarra: storia-geografie-scienze applicate…
Maurizio Brunod: Mi son trovato a fare i primi accordi durante le gite scolastiche delle medie, da lì a poco formai un gruppetto di progressive-rock, proprio con il flauto le tastiere in pieno stile british anni 70, beh i risultati non erano esaltanti ma la passione era sempre più forte… I miei eroi di quegli anni, Steve Hackett e Robert Fripp, David Gilmour, mi piacciono ancora e non li ho rinnegati, ma se ne sono aggiunti molti altri: Egberto Gismonti, Ralph Towner, Keith Jarrett, Kenny Wheeler, Bill Frisell e via dicendo. In quel periodo inizia anche lo studio della chitarra classica e quella jazz con Claudio Lodati, noto chitarrista d’avanguardia torinese con cui ho poi ho iniziato a suonare professionalmente in giro per l’Europa in duo e con il gruppo Dacc’corda, in un’epoca in cui avevo 19 anni circa.
JC: Partnership di prima linea: Rava, Surman, Vinaccia, Towner, Vitous. Quali i moventi di tali incontri, quale il bilancio, e cosa c’è d’altro in agenda?
MB: Negli ultimi anni ho avuto delle grandi soddisfazioni, non avrei mai immaginato di lavorare con molti miei miti ma pian piano e con tanta caparbietà le cose sono accadute. Ad esempio con Surman fu semplicemente che i musicisti con cui avrei registrato Svartisen (pubblicato per Splasc(h) records) lo conoscevano bene e io gli chiesi di provare a coinvolgerlo, ci ritrovammo cosi al Rainbow Studio di Oslo anche insieme a John, grande esperienza: emozionante, nonostante avessi già registrato e suonato con un sacco di grandi musicisti di latino e in jazz band, Enten Eller, Tim Berne, Antonello Salis, Calixto Oviedo. Ero emozionato come un bimbo, in quel periodo conobbi anche Vitous che stava in Piemonte e iniziammo a frequentarci, dopo un annetto gli chiesi di suonare una volta in duo e nel 2012 suonammo per la prima volta assieme, ora è un progetto stabile, abbiamo fatto parecchi concerti e l’interplay con lui è strepitoso, il fatto di lavorare con Miroslav mi ha sicuramente aperto le porte alle successive collaborazioni con Rava e Towner. In agenda ci sarà il nuovo CD di Enten Eller con Achille Succi ospite, concerti primaverili ed estivi in duo con Rava, sicuramente altre cose in duo con Miroslav e con il Dream quartet, che oltre a noi due schiera Roberto Gatto e Javier Girotto… Insomma le cose nell’aria sono molte e forse ci sarà una esperienza inedita con la musica elettronica.
JC: Quest’ultimo è uno spunto per fare riferimenti a produzioni quali Bad Epoque (che tiene conto, se sei d’accordo, di certi percorsi alla Robert Fripp); d’altra parte l’avanguardia mostra anche altre facce, si vedano certe altre tue collaborazioni, ad esempio, con Alexander Balanescu. Qual’è la tua idea sulle forme di frontiera?
MB: Beh, perché vi sia sviluppo e innovazione ci vuole ricerca, come in tutti i campi, a volte i risultati sono interessanti e a volte per niente, ma credo che sia un po’ il sale della vita. Come dici tu Fripp, e io aggiungerei anche Brian Eno, hanno tracciato una nuova strada e aperto a musicisti di varia estrazione, sono molti quelli che stanno un po’ nella terra di nessuno, penso a Bill Laswell, a Eivind Aarset o David Torn che forse da quelle cose anno trovato un percorso personale, a volte anche io mi reputo un po’ di quel filone che non è propriamente jazz ma certo neppure rock o ambient. Per parlare invece di Alex Balanescu, la nostra collaborazione nacque un po’ per caso quando Enzo Favata musicista e organizzatore di Musica sulle bocche (Festival in Sardegna) mi invitò a prendere parte al concerto del tutto improvvisato che avrebbero fatto lui Balanescu e Zlatko Kaucic durante quel festival, ci divertimmo molto e con Balanescu ci ripromettemmo di lavorare nuovamente assieme e dopo un altro paio di concerti con quella formazione io lo invitai ad una registrazione con Claudio Cojaniz e Massimo Barbiero; ne nacque un bell’album, Marmaduke, e seguirono alcuni importanti festival, ma suonai con lui anche in duo: psichedelìa allo stato puro. Davvero un gran creativo e una persona dolcissima.
JC: Di cosa è composto l’arsenale strumentale da te attualmente praticato?
MB: Suono da sempre un po’ tutte le chitarre, quindi classica, acustica, elettrica con pedali di ogni sorta che utilizzo per creare tappeti e sfondi sonori.
JC: Cosa separa davvero, per il performer, l’approccio tra lo strumento acustico da quello elettrificato e dalle elettroniche?
MB: Non ho mai posto molte distinzioni, perché mi è molto naturale cambiare strumento, lo faccio da quando sono piccolo, bisogna comunque dire che con gli strumenti acustici ho un approccio più armonico e percussivo mentre invece con l’elettrica gioco di più sulle sonorizzazioni e mi lascio ispirare dai mille suoni che posso ottenere con gli effetti, tutto dipende molto dalla situazione musicale in cui mi trovo.
JC: Molti gli influssi e le ispirazioni finora riscontrate: ma come davvero definiresti il tuo stile e il tuo operato?
MB: Mi sento principalmente un ricercatore di suoni che lavora in àmbiti più o meno creativi. Una delle cose che mi piace di più è proprio scovare sonorità interessanti, nel mio ultimo lavoro Duets (per Caligola records con Succi, Di Bonaventura, Gallo, Vitous, Barbiero) trovo ci siano tra le cose migliori che abbia fatto in questo senso: ho usato una marea di strumenti ed effetti e credo mi rappresenti a pieno.
JC: La pratica musicale vive anche nell’insegnamento e magari nella diffusione in più vasto àmbito – visto che sei intento anche nella preparazione di un volume.
MB: Insegno da tanti anni ma sempre con moderazione, al massimo un paio di pomeriggi alla settimana, ho degli allievi molto bravi e che mi danno soddisfazione ma voglio concentrarmi maggiormente sullo studio, la composizione e avere il tempo per preparare bene tutti i miei progetti che sono tanti. Ultimamente sto appunto lavorando ad un metodo per chitarra che uscirà per fingerpicking.net e sarà distribuito dalle Edizioni Curci, ne sono contento, ci lavoro da un bel po’ e spero verrà adottato da molti insegnanti: si chiamerà “Manuale di sopravvivenza per il Chitarrista curioso” e uscirà per l’estate e tratterà argomenti che normalmente non sono su un unico libro.
JC: Qual è lo stato di salute della musica (tutta inclusa) oggi e della sua fruizione?
MB: Negli ultimi anni è cambiata molto la fruizione musicale, io ad esempio negli anni ottanta compravo un disco ogni tanto e lo consumavo, i giovani di oggi hanno molte più possibilità d’accesso, ma alla fine credo che scaricarsi tutte le discografie di ogni artista sia diventata una sorta di collezionismo virtuale e fine a sé stesso, con il risultato che si approfondisce molto poco.
JC: E del jazz in particolare?
MB: Forse è rimasto qualche appassionato in più che vuole il CD vero e proprio, ma anche nel jazz la maggioranza scarica la musica illegalmente o su iTunes, come per gli altri generi.
JC: Qual è il tuo personale bilancio del mestiere dell’artista?
MB: È una sorta di missione, io studio giornalmente molto, è faticoso ma anche molto appassionante, ci vuole molta disciplina, si passa da periodi di grande lavoro con concerti importanti e registrazioni a momenti di apatia, tutto ciò è un po’ snervante, magari non ci sono concerti per un mese e questa cosa la patisco molto. Ho finalmente trovato una ragazza molto in gamba che sta provando a vendere alcuni miei progetti, si chiama Maddalena Sarotto ed ha aperto una agenzia di booking e management, ha molte idee e stanno uscendo delle belle cose, è un gran sollievo sapere che c’è qualcuno che si occupa di trovarti del lavoro, questa è una cosa che ho sempre fatto da solo e che mi ha portato via un sacco di tempo quindi sono un po’ più rilassato. Se non avessi però dei progetti con grandi nomi non suonerei quasi per niente: avevo molti bei progetti con bravissimi musicisti italiani, ma sono fermi da tempo perché i festival devono fare cassetta e chiamano solo personaggi famosi o che vanno di moda, i club quasi sempre hanno budget minimi e spesso non consentono nemmeno di pagarsi le spese di viaggio. Sono veramente peggiorate tantissimo le cose. Con l’apertura al jazz nei conservatori, molti noti e ottimi musicisti hanno trovato un posto fisso e risolto i problemi economici, ma ora le cattedre sono praticamente esaurite e la marea di giovani che escono da tutte le scuole che abbiamo creato cosa faranno? Anche per questo auspico davvero che si torni ad investire sulla cultura in maniera seria. Per concludere, il mestiere del jazzista è cambiato molto e ora in molti si inventano degli spazi e creano eventi dove suonare: è una nuova via per sopravvivere.