European Jazz Clubs. John Kunkeler, KunstFabrik Schlot

Foto: Fabio Ciminiera










European Jazz Clubs. John Kunkeler, KunstFabrik Schlot.

Berlino, KunstFabrik Schlot. 14.11.2013

Con l’intervista a John Kunkeler, deus ex-machina del Kunstfabrik Schlot, prende il via una serie di dialoghi con alcuni dei gestori e direttori artistici dei jazz club europei. I primi tre club presenti in questa carrellata sono tre storici locali berlinesi con le interviste realizzate con Sedal Sardan dell’A-Trane e Jannis Zotos del B-Flat, oltre naturalmente al presente articolo che vede protagonista John Kunkeler dello Schlot.



Come è ovvio, John Kunkeler parte dalla storia del club e dal suo spostamento da Prenzlauer Berg all’attuale sede in Mitte. «Abbiamo rilevato il club dalle persone che lo hanno fondato e lo hanno gestito fino al 1996. Il nome deriva dal fatto che molto vicino alla precedente sede del club ci fosse una enorme ciminiera – Schlot infatti vuol dire ciminiera in tedesco – e questo portò la prima denominazione Kaffee am Schlot, da quello poi è venuto fuori il nome attuale, Kunstfabrik Schlot (in italiano, il nome potrebbe essere reso come la ciminiera della fabbrica dell’arte – n.d.t.). All’inizio, nel programma settimanale il club proponeva concerti jazz per tre giorni e spettacoli di cabaret per i restanti tre giorni. Quando abbiamo rilevato il locale, abbiamo dato vita anche ad una scuola di musica. Questa è stata una maniera secondo noi efficace di far convergere le persone sulle nostre attività e di spingerli a suonare uno strumento. Nel corso degli anni abbiamo avuto in cartellone sempre più jazz e sempre meno cabaret: ora rimane solo un appuntamento settimanale dedicato al cabaret e, anche nella scelta dei concerti, la nostra attenzione è puntata sul jazz e solo di rado abbiamo cantautori.»



Lo Schlot ha cercato di tracciare una linea particolare nel proprio programma, con una serie di iniziative specifiche e rivolte a dialogare con il pubblico in maniere diverse. «Cerchiamo di presentare musicisti e situazioni musicali che gli spettatori non trovano negli altri club della città. noi ad esempio abbiamo una serie di appuntamenti chiamata Jazz for Kids, performance jazz dei ragazzi delle scuole di musica che si esibiscono qui la domenica pomeriggio con ingresso libero: ogni scuola si esibisce una sola volta l’anno e può mettere in luce quanto ha realizzato nel corso dell’anno in un concerto che si tiene in un vero jazz club e che diventa una festa con tutti i parenti e gli amici dei ragazzi, un modo anche per condividere l’esperienza di sedere tra il pubblico e sul palco del club e farla diventare parte integrante delle “cose da fare”. Un’altra peculiarità è il fatto che ci interessa mettere in risalto la scena emergente più che invitare le grandi star nel nostro programma. Qui puoi ascoltare quanto viene proposto dai giovani musicisti della scena berlinese. E, inoltre, abbiamo la possibilità di fare esibire delle big band dal momento che abbiamo un palco molto grande.» E tra i risultati di questa politica, c’è la presenza di molti spettatori giovani, fatto di cui John Kunkeler va molto orgoglioso. «Difficilmente quando entri in un jazz club vedi persone giovani. Quando vieni qui invece ci sono diversi giovani.»



Negli anni, lo Schlot si è caratterizzato per le numerose collaborazioni con gli Istituti di Cultura dei paesi stranieri presenti a Berlino. «Abbiamo cominciato dodici anni fa con l’Istituto di Cultura della Repubblica Ceca che ci avevano chiesto di presentare qui allo Schlot una band proveniente dal loro paese, un appuntamento mensile: al posto di farlo esibire in una sala dell’Ambasciata, volevano dare ai loro musicisti il contatto con l’atmosfera di un club berlinese. Allo stesso tempo, per noi è stata l’occasione per invitare la comunità ceca a venire allo Schlot e conoscere il posto. Da quel momento abbiamo avviato numerose collaborazioni con altre istituzioni internazionali, olandesi, francesi, italiane, portoghesi, polacche e altre ancora. Si è rivelata senz’altro una collaborazione fruttuosa: abbiamo potuto scegliere i musicisti da far invitare loro e abbiamo lavorato insieme per far venire qui a Berlino le direzioni attuali del jazz europeo. In particolare, abbiamo diversi validi musicisti italiani a Berlino e tra questi c’è di sicuro Andrea Marcelli. Con lui è nata l’idea di realizzare il Festival del Jazz Italiano a Berlino: in pratica, Andrea è il nostro “ambasciatore” nei confronti del jazz italiano e ci consiglia i musicisti da invitare. E lo stesso capita per le altre comunità, ci sono musicisti di altri paesi con cui abbiamo collaborato in questo senso.»



Il rapporto con il pubblico è cambiato nel corso degli anni e, in particolare, in una città come Berlino che ha vissuto un momento storico importante e ancora vicino nel tempo, questo è ancora più evidente. «Nel 1996, quando abbiamo rilevato il locale, il Muro era caduto da pochi anni e c’era uno spirito del tutto fuori dall’ordinario in città: molti giovani provenienti da paesi diversi erano appena arrivati a Berlino e molti di loro erano studenti o, comunque, intellettuali. In quel periodo sono nati molti jazzclub e questo ha dato la possibilità a molti musicisti di suonare in città. Dopo qualche anno ci siamo trasferiti dalla vecchia sede in questa dove siamo ora che si trova molto più in centro. Questo fatto attira anche molti turisti grazie alla reputazione raggiunta dallo Schlot e dalla facilità di arrivare: siamo inseriti nelle guide turistiche, diverse persone hanno parlato bene dei nostri concerti, sia per la qualità della musica che per l’atmosfera che si crea. Vengono inoltre molti “vicini di casa”, gli abitanti di questa zona della città e molti giovani e di questo siamo molto contenti per quello che dicevo prima. Facciamo suonare i musicisti giovani, spesso c’è l’ingresso libero durante la settimana e questo rende facile per tutti l’ingresso al nostro club: allo stesso tempo, poi, noi facciamo in modo che si venga qui per ascoltare la musica, che non si parli durante i concerti. Non è una chiesa, naturalmente, e si può anche scambiare una parola: ma non deve essere una cosa continua e cerchiamo di fare in modo che non accada, si viene allo Schlot per la musica. I musicisti lo sanno e apprezzano il nostro lavoro, il pubblico stesso lo sa e apprezzano le nostre regole. Ciò nonostante, come nel resto dell’Europa, non è facile perché il jazz è una musica apprezzata da una minoranza di persone, non è una musica per le masse… difficilmente vengono più di cento persone per un concerto.»



Come tutti i territori, anche una capitale europea presenta i suoi problemi relativi al rapporto con i colleghi e con il pubblico, con la stampa e i mezzi di informazione. «Con gli altri club della città non c’è una vera e propria collaborazione. Ci conosciamo, certo, e sappiamo di condividere gli stessi problemi: la cosa più importante, forse, è il fatto che cerchiamo di evitare per quanto possibile di replicare a breve distanza temporale concerti degli stessi artisti, soprattutto se vengono da fuori città. In una città come Berlino è davvero difficile attrarre il pubblico e considera che noi non investiamo su poster, manifesti, ma lavoriamo con la reputazione del club, con la fidelizzazione del pubblico e la capacità che i nostri spettatori hanno di fare girare la voce. D’altronde, per fare venire i nomi grossi bisognerebbe chiedere alla porta cifre più elevate e noi vogliamo, invece, che le persone che sono sempre venute da noi possano affrontare il prezzo del biglietto questa è la nostra filosofia.»



Nel corso degli anni sono molti i grandi musicisti che si sono esibiti allo Schlot, musicisti come Tomasz Stanko, Karl Berger, Dave Liebman. «Ad esempio, con la collaborazione nata con le istituzioni polacche abbiamo avuto l’occasione di avere qui da noi Leszek Mozdzer prima che divenisse il musicista che conosciamo oggi, naturalmente la scena berlinese e moltissimi interpreti sconosciuti al grande pubblico ma di grande valore. Abbiamo avuto durante lo scorso weekend un notevole pianista svizzero, Cristoph Stiefel, un grande davvero musicista, un artista che avrebbe dovuto avere un pubblico di centinaia di persone e invece ne sono venute a malapena trenta.»



D’altronde, i musicisti amano suonare nei club per le atmosfere che il posto più intimo riesce a creare. «Questa è sempre stata una delle chiavi del jazz: i soldi li fanno quando suonano nei grandi festival oppure negli hotel dove suonano senza che nessuno li ascolti. Nei club c’è una grande interazione tra pubblico e musicista. Noi preferiamo far suonare i musicisti che comprendono la dinamica del jazz club: i musicisti che vogliono essere trattati in modo privilegiato non fanno per noi. E inoltre ci piace avviare delle collaborazioni di lungo termine dalla quali possono nascere molte idee e nuove. Il jazz è la sola musica che cambia insieme al modo di pensare del periodo che viviamo e bisogna essere sintonizzati con la contemporaneità. E, per anticipare una novità nata da questo modus operandi nel mese di maggio 2014 si terrà qui allo Schlot un festival jazz europeo in collaborazione con dodici ambasciate europee.»



Berlino è una città davvero particolare, come si diceva anche sopra. La storia ha scritto pagine molto importanti solo pochi anni fa, eventi che si sono ripercossi in modo sistematico e presente nella vita dei berlinesi e, di conseguenza, hanno avuto i loro riflessi sulla scena culturale e jazzistica. «Quando vivevo a Berlino Ovest, prima della caduta del Muro, c’erano pochi jazz club, l’A-trane e il Quasimodo. Alla caduta del Muro, moltissimi giovani sono arrivati qui, musicisti, studenti, turisti. Si è trattato di una vera e propria rivoluzione: in quegli anni sono nati molti club, come il vecchio Schlot, nei vecchi palazzi vuoti in quello che era chiamato il Wild East. Non c’erano regole, c’era piuttosto uno spirito pionieristico, la possibilità di fare le cose per la prima volta, di sperimentare arte – non solo musica, ma pittura e altre forme d’arte. Una forma di rinnovamento eccezionale in un momento storico altrettanto eccezionale. Ovviamente con gli anni le cose sono cambiate, si è cercato di dare una sistemazione migliore e più regolamentata a ciò che avveniva, le stesse persone che sono arrivate a vent’anni sono diventate quarantenni, hanno famiglie, bambini. E, quando le cose diventano stabili, cambia naturalmente lo spirito rispetto a quando non c’erano regole: questa credo sia la ragione principale. Un altro aspetto particolare della scena berlinese è che nella Repubblica Democratica era già presente una scena jazz, non molto ampia ma c’era. Se prima era normale che avessero pochi rapporti con i jazzisti occidentali, nel corso degli anni si è mantenuta una certa separazione in maniera del tutto forzata e direi anche stupida o quanto meno da sottolineare. In questo club sono sempre venuti volentieri sia i musicisti “orientali” che “occidentali”: forse perché io non sono tedesco, ma olandese, e gli olandesi sono forse più simili ai tedeschi dell’Est, siamo più gentili, più aperti, mentre spesso i tedeschi occidentali sono più arroganti.»



La posizione attuale dello Schlot lo rende un teatro naturale per le registrazioni dal vivo: lo spazio presente all’interno e l’assenza di rumori di fondo permettono una gestione molto facilitata di tutte le esigenze tecniche. «La RBB, in particolare, e le radio sono spesso venute a registrare dei concerti tenuti qui. Il nostro è un club molto silenzioso dentro e fuori. Siamo lievemente interrati, la sala è protetta da un ingresso molto lungo che porta in un cortile: non capita che, se apri la porta, senti passare il tram. E inoltre abbiamo spazio quindi è facile portare e sistemare gli apparati tecnici.»