ParmaFrontiere – CD 002 – 2013
Roberto Bonati: contrabbasso, percussioni
Diana Torto: voce, campane tubolari, percussioni
Esiste – e guadagna campo – una formula “musica nuda” che, senza necessariamente né troppo far riferimento alla coppia omonima e detentrice della denominazione, pone “tipicamente” in simbiosi ed interazione una diade voce-strumento, in casi come il presente assortita da una vocalità femminile (per definizione più “esposta” e catturante) ed un elemento strumentale che accentui le valenze “maschili” di genere (per vocazione appena meno protagonista e più connettiva).
Peraltro, non sembrerebbe nemmeno una formula nuova, se la memoria storica della performance non ci faccia collocare la vita di tali dualità lungo la plurisecolare vita degli artisti girovaghi del canto e del gesto musicale.
Poca meraviglia dunque nel ritrovare nell’album anche Can vei la lauzeta, “cover” medievale a firma di Bernart de Ventadorn, a conferire ulteriori “plus” di carattere ed ecletticità ad un programma aperto che molto risuona delle lezioni di leggerezza di maestri contemporanei, che non abusa in effettismi e non azzarda bluff d’artificio, intriso nelle sue matrici del canto popolare e innervato nella sua metrica anche dalle iteratività oblique e i tempi dispari della danza balcanica, che marca con misura i connotati della drammatizzazione teatrante e comunque aperto alla “new thing”.
Introdotto da un packaging quantomeno sofisticato e diversamente accattivante, il recentissimo lavoro della coppia artistica Bonati-Torto opera per sofisticate sottrazioni di tratto, ma anche misurate addizioni d’emotività, lungo linee terse che sottintendono solida pratica performante, in cui il contrabbasso non abdica al ruolo maschio, ma del corpo titanico si spoglia di pesantezze ed eccessi di gravità, alternando a scabri sostegni ritmici meno ovvie valenze in trasparenza e grazia, disponendosi anzi a mimesi cellistiche o assottigliandosi duttilmente verso acuità violinistiche, in un respiro riverberante che alona le esplorazioni della voce, attiva nel dosare il colore e l’enfasi giocando in pervasiva spontaneità per formule libere e non filtrate dalle griglie dello stilema.
Traendo non solo il titolo ma una più diffusa ispirazione nell’abbeverarsi alle crepuscolari tinte d’inchiostro dei Poètes maudits, dall’ineffabile qualità dei versi di Rimbaud e più a ritroso (o forse dall’anti-modernità) di quella nobile tradizione di ricerca trovadorica cui già si accennava, il grande retaggio della sensibilità europea s’incontra con le dinamiche espressive con cui si calcano e agitano i palcoscenici informali e triviali dell’Oriente e del Sud del mondo, coagulando una microfisica dell’istantaneità e del performing che non prescinde dall’approccio metodico, mettendo a segno le tredici frecce di varia e non prevedibile traiettoria scoccanti da una sfaccettata faretra assemblata dalle eco della tradizione ma esplicitamente agitata da non-velleitarie impulsività avant-garde.