Skidoo Records – sk004 – 2013
Emmet Cohen: pianoforte
Giuseppe Venezia: contrabbasso
Elio Coppola: batteria
Questo bel disco nasce a New York qualche anno fa. Ovvero, il progetto prende spunto da un’esibizione tenuta dai tre musicisti in un jazz club della Grande Mela. Pare che l’uragano Sandy ne abbia tardato la registrazione, ma l’attesa non ha alterato la qualità del lavoro. Emmet Cohen, perno involontario su cui gravita il disco, ad appena vent’anni dimostra di essere un ottimo pianista mainstream e un compositore in possesso di una felice vena creativa.
Infinity, il brano che da il nome al disco, è una sua composizione di bellezza cristallina, una ballad rarefatta e d’atmosfera, costruita su tocchi leggeri e accenni di pianoforte, contrabbasso e batteria, che da sola vale l’intero lavoro. Ma sarebbe ingiusto fermarsi qui perché Venezia e Coppola, non sono dei gregari, ma offrono un contributo ritmico notevole, sono affiatati, hanno personalità, s’integrano alla perfezione con il pianista e agiscono da leader. Il loro interplay non ha sbavature e gli interventi di basso e batteria sono propositivi e propulsivi nello stesso tempo, evitando di essere un mero supporto alle invenzioni di Cohen. Infinity si apre con Nun è peccat, un brano di Peppino Di Capri qui suonato come fosse un vecchio standard tirato a lucido, dove le parti improvvisate ne rinnovano la struttura. Lo stesso si può dire del classico Moonlight in Vermont, più marcatamente swing. Tra echi pre bop e sommovimenti swing si arriva all’agitato Hop, skip and jump, a firma dello stesso Cohen.
Su questa scia, tra brani originali e soluzioni “standard” ci s’imbatte in Autumn Nocturne e nell’omaggiata Blues Etude di Oscar Peterson. Infinity si chiude con il raffinato Simona, un pezzo scritto dallo stesso Cohen. Insomma, un disco di piano trio moderno, suonato con bravura e aperto a soluzioni originali che danno varietà e brillantezza a schemi mainstream altrimenti sin troppo scontati.