Elina Duni Quartet @ Nel Gioco del Jazz

Foto: Fabio Ciminiera










Elina Duni Quartet @ Nel Gioco del Jazz

Bari, Teatro Forma – 18.3.2014

Elina Duni: voce

Colin Vallon: pianoforte

Bjorn Meyer: contrabbasso

Norman Pfaffmaster: batteria, percussioni


Credo sia necessario cominciare dal finale, quando Elina Duni, Colin Vallon, Bjorn Meyer e Norman Pfaffmaster sono tornati sul palco per il bis e hanno intonato Addio, Addio amore, brano delle transumanze e dell’abbandono, brano popolare e senza tempo, ripreso in italiano da Domenico Modugno, nella sua veste forse più importante, quella di traghettatore degli elementi atavici delle culture regionali verso una forma di condivisione nazionale.


La versione di Addio, Addio amore presentata dal quartetto di Elina Duni ne coglie il senso profondo, entra nel pathos che lo caratterizza senza stravolgerne o enfatizzarne i tratti. È un omaggio al pubblico barese e italiano, alle tradizioni e al loro portato di emozioni e significato. E, soprattutto, chiude il cerchio di una operazione coerente e sviluppata per tutto il concerto e, naturalmente, nel percorso discografico del quartetto, in particolare nel più recente Matanë Malit pubblicato per la ECM nel 2012. Trovare l’essenza profonda di brani presenti in un repertorio secolare, nati dalla sedimentazione di sentimenti, patrimonio ancestrale di popoli alle prese con esistenze tutt’altro che facili. Repertori diversi per ogni valle, per ogni regione, ma uniti da motivazioni di fondo estremamente vicine.


La trama disposta per il concerto riprende, rilegge e fa proprio questo materiale. I canti delle regioni albanesi, canti di amore ed esilio, come spiega bene la stessa Elina Duni nell’intervista realizzata a fine concerto. Canti di lavoro e lotta partigiana, canti di montagna. Canti che accolgono la miscela di suoni e influenze passate per l’Albania e, per estensione, per il Mediterraneo. Canti che vengono reinterpretati da un quartetto di musicisti che ha abbracciato il jazz come linguaggio espressivo.


Un concerto dal forte contenuto emotivo e dal pathos sempre ben condotto, capace di aprire spazi per le atmosfere delle danze e delle feste per i matrimoni – nei quali come ricorda Elina Duni tutto diventa esagerato e smodato – e per i ritmi tipici del mondo musicale balcanico. La chiave è l’utilizzo di un atteggiamento di stampo principalmente modale: il quartetto si assicura così la possibilità di interventi diversi sui suoni, sule melodie e sui ritmi. Un approccio utile per trovare caratterizzazioni differenti per ogni canzone, nell’approccio vocale e strumentale, e rispondere in qualche modo ai vari “dialetti” associati a ciascun passaggio. Connotazioni espressive, manipolazioni degli strumenti e degli oggetti sonori, elementi utili e – soprattutto – utilizzati in maniera essenziale e lucida per giungere all’intensità emotiva. Il lavoro fatto dal quartetto sulla “traduzione jazzistica” dei pezzi presentati in concerto – tutti provenienti dalla storia musicale albanese, tranne ovviamente Addio, Addio amore – segue una maturazione solida e ben indirizzata. E nel concerto si percepisce come questa sia il frutto di un percorso fermamente concepito e interiorizzato, studiato e assimilato dal punto di vista emotivo, fatto di passi e di evoluzioni successive, rivolte a dare spazio tante anime di una tradizione ricca e, per certi versi, ancora sconosciuta, familiare e vicina – alle nostre coste, al nostro folklore e anche, se si vuole, alle escursioni modali del jazz moderno – quanto elusiva ed esotica.


Se Matanë Malit era stato più lirico, riflessivo, introspettivo, il quartetto propone nel concerto anche una esplorazione degli aspetti ritmici: per esigenze di scaletta, certo, ma anche per un’evoluzione propria della musica e delle tematiche affrontate nelle registrazioni presenti nel prossimo disco, come la cantante ha spiegato sempre nell’intervista. L’intensità dell’interpretazione passa attraverso la sottolineatura dei punti di contatto e differenza tra jazz e folklore, ma anche attraverso una presenza scenica forte e una capacità di condurre con padronanza strumenti e suoni: si arriva così alla “sfrenata” esplorazione dei momenti modali, capaci di contenere tanto le improvvisazioni jazzistiche quanto le ipnotiche spire dei richiamo alla tradizione. Una spola continua fra i due aspetti porta a sondare similitudini e differenze di un materiale, per molti aspetti, ancora da approfondire e ad utilizzare la forza magnetica e l’attitudine ieratica ed austera della cantante per evocare le forze e le passioni contenute nei brani.


La ricerca passa anche attraverso la spiegazione delle motivazioni, delle storie e dei temi di quei canti: traduzione, poesie, riferimenti geografici, connessioni storiche raccontate da Elina Duni in un buonissimo italiano come potrete ascoltare nell’intervista pubblicata su Jazz Convention. L’Albania negli ultimi secoli ha conosciuto davvero ogni genere di situazione, peraltro trovandosi quasi sempre alla “periferia dell’Impero”, lontano da centri di comando, oggetto delle decisioni provenienti da altre logiche e altre intenzioni. Le introduzioni, brevi ma suggestive, permettono di dare le coordinate specifiche delle varie canzoni, di tratteggiarne l’atmosfera tipica, singolare e praticamente unica e mai del tutto ripetuta, pur con tutte le similitudini, pochi chilometri più in là, nella valle limitrofa. E con questo torniamo ad Addio, addio Amore. Cantata in italiano – e non in una delle tante versioni dialettali, come si diceva sopra – diventa il paradigma delle storie vissute dai popoli su entrambe le coste dell’Adriatico e, più in generale, in ogni angolo del pianeta ogni volta che si sono trovati ad affrontare povertà e miserie, fughe sottomissioni e privazioni.


Nel Gioco del jazz ha costruito un percorso negli anni molto attento alle varie anime del jazz europeo, alle sue diaspore – verrebbe da aggiungere, pensando al concerto di Elina Duni – e alle sue tante sfaccettature. E in questo modo ha portato nel suo cartellone nomi e progetti presenti meno del dovuto nei programmi di rassegne e festival italiani.