Foto: courtesy of Auditorium Parco della Musica
Carta Bianca a Franco D’Andrea: D’Andrea/Douglas/Bennink
Roma, Auditorium Parco della Musica. 24.3.2014
Franco D’Andrea: pianoforte
Dave Douglas: tromba
Han Bennink: percussioni
Per il programma Carta Bianca, assegnato quest’anno dall’Auditorium a Franco D’Andrea, ecco il secondo concerto della serie, dopo la presentazione dell’ultimo omaggio a Monk e prima del solo piano che apprezzeremo più avanti. Il maestro D’Andrea non si smentisce, resta una delle figure di riferimento del jazz italiano di oggi, al di là della popolarità o dei successi di vendita di suoi illustri e spesso più giovani colleghi, peraltro di sicuro suoi convinti estimatori.
Scegliendo di presentarsi sul palco con Dave Douglas, eclettico trombettista ricco di esplorazioni musicali che hanno spesso travalicato il confine del jazz, e con Han Bennink, straordinario poliedrico e geniale percussionista olandese ricco di infinite esperienze, in una originale formazione piano-tromba-rullante (si, solo un rullante) D’Andrea ha mostrato di voler dare spazio alle capacità di coesione, interplay, inventiva e reciproco stimolo che ognuno fra loro sa darsi (peraltro mai prima insieme in semplice trio). Ebbene, oltre la scelta comunque coraggiosa e davvero da menu “carta bianca”, i tre hanno risposto nella maniera adeguata, inserendo le innate capacità solistiche in un percorso comune dettato dalla voglia di provarsi e scoprirsi insieme. Non privo di sanissime imperfezioni e di momenti di ricerca, con la tromba di Douglas più in primo piano rispetto alla discreta presenza di Franco D’Andrea, con Bennink magnificamente autosufficiente con il suo rullante sul quale appoggiava occasionalmente la gamba a modificarne il suono, il concerto, privo di lungaggini inutili e ridotto ad una essenziale e coerente ora e venti circa di musica, ha regalato al purtroppo non numerosissimo pubblico una musica fluttuante, intrigante, intelligente, a tratti fortemente ritmica ed energizzante, in altri momenti segretamente evocativa di grandi lezioni del jazz con gli immancabili riferimenti del piano di D’Andrea a Thelonious Monk, e gli accenni alle inimitabili coordinate a suo tempo fissate da Lennie Tristano. Il tutto senza mai autocelebrarsi e senza orpelli di parole o presentazioni che interrompessero il fluire coerente e coinvolgente della musica stessa.
Si era già magnificamente fatto apprezzare, Franco D’Andrea, durante la conferenza stampa di presentazione del progetto, con bellissimi racconti sulla sua lunga relazione d’amore con il jazz. Che peraltro continua a deliziare i suoi estimatori, e ben vengano altri momenti come questo, preziosi in un contesto generale in cui spesso si ripropongono gli stessi suoni ormai abusati.