AI Music – AIJ 04 – 2013
Monica Demuru: voce
Cristiano Calcagnile: batteria, percussioni, glockenspiel, talk drum, cajón, elettroniche, DrumTableGuitar
ospiti:
Lorenzo Corti: chitarra elettrica
Xabier Iriondo: chitarra elettrica
Roberto Cecchetto: chitarra elettrica, chitarra acustica
Gabrio Baldacci: chitarra elettrica, chitarra baritono
Gianluca Petrella: trombone
Interrogandosi sul concetto di sequel, molti sono gli esempi dell’indipendenza delle successive edizioni dell’idea portante: decisamente in amplificazione rispetto al primo ScarnoDuo della coppia Demuru-Calcagnile (per Amiranirecords, 2010) cresce il songbook, molto personale per scelte repertoriali e interpretative, del duo che opera stavolta in formula di line-up allargata.
La curiosa, revisionata forma cantautoriale graffiante ed anti-graziosa di Blastula, esordisce su un eccentrico clima bossa nova (assai papabile all’occorrenza e con agio come ipotetica James Bond song) nella atmosferica Children of the Night, svelando subito ulteriori tattiche d’approccio nel puntare verso l’essenza molecolare dell’immensa cover Both sides now di Joni Mitchell, rivoltandone radicalmente sintassi e respiro. Ancora nel nuovo appuntamento discografico erompe magica e tonante la mitica memoria di Sardegna in Antoneddu, nella sua drammatica trance, non unica immersione etnica stante l’eleborazione del canto armeno di Loosin Yelav (omaggio alla coppia di vita e d’arte Cathy Berberian-Luciano Berio) cantilena estraniante in polifonico contrappunto con le fioriture di metalli e live-electronics.
Due i momenti tratti dall’arte di Nina Simone, dispensando lancinanti fissità in Four Women e sospingendo un più pulsante clima da giungla urbana in Mississippi Goddam, ma un ulteriore punto di forza dell’open-duo erompe nel talento con cui davvero si potrebbe puntare ai bassi (e più sani) istinti di ben altro pubblico, espresso nell’orgiastico orgoglio rock con cui letteralmente esplode Nobody knows you when you’re down and out, e ancor più acidamente nelle sussultorie scosse di Dancing barefoot.
Nitida anche la vocazione melodica in purezza, distillata nella sensibile e matura Atrás da porta e, dopo aver reinfuso nuovo e quasi insospettato corpo lirico alla canzonetta nazional-popolare ne L’edera, la sequenza di Lingue di Fuoco si estingue nelle violenze autoriali della tesa e materica revisione della Oceania di Björk.
Gli interventi sull’anatomia e, più profondamente, sulla microfisica della forma-canzone trasfigurata con palese curiosità e interventismo creativo si confermano essere la dominante chiave di lavoro di questa ancora più interessante coppia di performer: graziati non solo dall’ispirazione ma anche dall’affiancamento partecipativo di quattro diverse identità della chitarra, elettrificata o classica come da avvicendamento, nonché dallo sberleffo intelligente del nostro garçon terrible del trombone, Blastula & C. tornano a donarci la loro musicalità aliena e per molti versi completa, e non ci si sente troppo partigiani nel considerare che una simile produzione meriterebbe, entro il panorama certo non dormiente né silente dell’avanguardia contemporanea, ulteriori visibilità, attenzioni e ascolto. Includeremmo infatti il ricco e spettacolare Lingue di Fuoco entro una manciata di incisioni che (senza nulla togliere al corrente e valido flusso delle nostre produzioni discografiche), per la caratura interpretativa dei musicanti e le visioni esposte, “fanno bene” e rendono un servizio qualitativo alla musica nostrana – magari non soltanto…