ECM Records – ECM 2307 – 2013
Arild Andersen: contrabbasso, elettroniche
Paolo Vinaccia: batteria
Tommy Smith: sax tenore, shakuhachi
Difficile non riandare con la memoria a quell’evento di spettacolare ispirazione, nonché di grande portata stilistica, che fu Live in Belleville (registrato nel 2007 con materiali dedicati al centenario dell’indipendenza norvegese), prova di sostanza e persuasiva con coerenza già dalle prime battute, che fissava questa formazione quale ancorata e messianica certezza nella dimensione del sax-trio.
Le impressioni (invero diffuse) di “ridimensionate energie”, per quanto attiene alla dominante tempra di questa nuova incisione, imputabili in parte alla dimensione di studio di Mira, in definitiva riescono di limitata rilevanza nell’apprezzamento della stessa: se apparentemente non funge da sequel sul piano caratteriale, l’ascolto è però non meno sorprendente.
La combinazione tra lirismo e fisicità, certamente calibrata, sembra palesarsi con qualche squilibrio a favore del primo, privilegiando ispirazione istantanea e cantabilità densa al gioco di masse, comunque non minimo e sempre funzionale.
Arduamente descrivibili ma comunque di somma plasticità le fogge del basso di Andersen, mirabile per senso scultoreo e graziato da vivido respiro, giocando tra sortite decise e sornione prese di distanza, dominante ma non unico tratto conduttore dell’incisione, attraversata dal controcanto di lignea timbrica del tenore, pervaso sia da sintonie lunari che strida viscerali, sublimando linguaggi di strada e spesso introducendo sinuose seduttività orientaliste (certo non confinate all’impiego del pur pittoresco shakuhachi), raccordando cadenze e dialoghi sulla punteggiature e le articolazioni del drumming, attento, sensibile e veemente a seconda dell’esigenza figurativa del momento.
Sommamente abili a stupire per l’eccelsa definizione di corpo e la plastica eloquenza, i tre si attestano attori completi, riservando magari una posizione di mattatore al titolare-regista che lega e cementa il tutto con la calda pressione delle sue note basse e insieme, con impulsività stimolante e di grande contagiosità fisica, concorrono a tratteggiare una nuova “forma (pressoché) perfetta” del sax-trio.
Musicanti completi di quell’antica razza privilegiata da un istinto puro per il senso dell’espressione senza tempo, i tre concretizzano e animano un’opera compatta che non scalza la miliarità della rocciosa, prima esperienza: a Mira si può condonare una condotta apparentemente più formale rispetto al precedente episodio, per il suo stagliarsi come opera di vincente impegno (e ingegno) collettivo che mai abiura a tensioni drammatiche o istinto spettacolare.