Foto: da internet
Quando Brazzale incontra Mingus
Brevi riflessioni su Lydian Sound Orchestra e The Black Saint and the Sinner Lady.
Rovereto, Auditorium del Mart – 16.4.2014
Fino ad un anno fa conoscevo la Lydian Sound Orchestra solamente attraverso le registrazioni, e non personalmente Riccardo Brazzale, il direttore. L’occasione dell’ascolto dal vivo e di conoscenza diretta si presentò a Ivrea, all’Open Jazz Festival del 2013, in un concerto che avrebbe riguardato un progetto su Dizzy Gillespie, uno dei padri del be bop.
Ebbene quella sera, era il 23 marzo, tre cose mi colpirono: il sound, la tipicità della formazione e, in particolare, il modo di condurre di Riccardo. I musicisti erano nelle sue mani, dipendevano dalla gestualità corporea che coordinava, plasmava il suono, ne stabiliva i livelli: l’impressione era che stesse dipingendo attraverso i suoi movimenti un quadro sonoro, esaltandone o attenuandone le coloriture.
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Dopo il concerto salii nel backstage e, a uno a uno, salutai tutti i musicisti. Ne raccolsi, bontà loro, gli autografi. Infine ebbi modo di scambiare alcune impressioni con il Conduttore. Riccardo rispose ad alcune mie domande e, molto generosamente, mi mise a parte di una sua aspirazione. Nel 2014 laLydian avrebbe celebrato i 25 anni dalla fondazione ed egli aveva in mente di festeggiarne l’evento con un significativo omaggio a Charles Mingus: l’esecuzione live dell’opera The Black Saint and the Sinner Lady. Roba da far tremare i polsi. Neanche The Angry Man of Jazz, oppure Chazz come lo chiamava il suo medico, dopo la registrazione in studio del 20 gennaio 1963, ci aveva mai provato ad eseguirla dal vivo.
Dei quattro movimenti dell’opera, Mingus ne aveva scritti solo tre, mai pubblicati; esistevano solo degli appunti del quarto movimento, registrato, e poi sottoposto ad editing ed a sovraincisioni. Sì, l’organico della formazione, con qualche aggiustamento, era più che idoneo: quanto al balletto per la parte di danza si poteva provvedere. I moderni corpi di ballo sanno fare miracoli se in mano a coreografi preparati e jazzisticamente appassionati. Nonostante l’ora tarda un luccichio negli occhi di Riccardo mi colpì: era il fuoco della passione che ardeva dietro i piccoli occhiali dalla montatura colorata.
Poi gli avvenimenti della vita ti conducono, per ognuno di noi, lungo la propria strada: si progettano cose diverse. Ma riascoltando nel corso dell’anno qualche registrazione della Lydian il mio pensiero ri-andava a quella che era stata più che una confidenza. La determinazione di certe affermazioni si intuisce, perciò seguivo a distanza le programmazioni di eventi jazzistici, ma per riservatezza non mi andava di assumere in modo diretto notizie sul progetto. La brochure degli Itinerari Jazz 2013/14 di Trento e Rovereto che annunciava l’evento per la metà di aprile mi confermò che l’evento era in programma e quindi sicuramente in fase di preparazione.
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La sera del 16 aprile, all’Auditorium del Mart di Rovereto, sono presente a quel che si preannuncia un evento “da lasciare il segno”. L’Opera Jazz The Black Saint and the Sinner Lady sarà eseguita da Riccardo Brazzale con la Lydian Sound Orchestra e il corpo di ballo diretto da Antonella Bertoni e da Michele Abbondanza.
Il Conduttore, di nero vestito con contrastanti, candide bretelle, si presenta al proscenio ed annuncia che, per entrare nello spirito della musica mingusiana, sarà eseguita l’originale “Suite per il Santo nero”, composita, in quattro tempi. The Mooche di Ellington, Un capanno in mezzo al mare di Brazzale, Les di Dolphy e Mood Indigo ancora del Duca . Nell’intermezzo Juan Lorenzo, chitarra flamenca, ci farà ascoltare due sue composizioni di impostazione world music e flamenco classico rispettivamente.
Il Santo Nero e la Peccatrice, musica e danza, completeranno l’Opera; un autentico unicum. Ecco, all’avvicinarsi dell’ascolto di un’opera tanto complessa, risulta determinante una pur minima conoscenza della complessa personalità mingusiana, che si estrinseca in un percorso musicale dalla trama autobiografica esclusivamente psicologica. Da notare che le note di copertina dell’LP relativo, ai tempi, sono state scritte dallo psichiatra del musicista.
È lo stesso Brazzale che ci mette a parte della soddisfazione derivante dall’esperienza di aver potuto trattare questo poema jazzistico. A parte la difficoltà di trascrizione della terza ballad, cioè la prima della quarta parte, multitematica all’interno di una struttura polifonica affidata a più strumenti, frutto concreto è stato «l’arricchimento maggiore, come direttore, di poter sviluppare il cosiddetto “Metodo Mingus” che tutto concerne meno che l’arte di dirigere un qualche cosa di predefinito nella mente di chi sta davanti ai musicisti e quindi nella carta da musica. E che è piuttosto qualche cosa di più vicino all’arte sofoclea della maieutica, del far sì che i colleghi musicisti tirino fuori da se stessi la loro idea di ciò che Mingus aveva in mente e che riguarda questioni psicologiche e umane prima che musicali tout-court.
«Come arrangiatore – prosegue Brazzale – ho imparato una strada che prima mi sarebbe parsa impossibile: lo sviluppo di un’opera così complessa che, restando nell’ambito del linguaggio tonale, si muove tutta in una sola tonalità, senza alcuna modulazione (che non fosse la minima fra relativa maggiore/minore). Prima non l’aveva mai fatto neanche lo stesso Mingus, sì capace di creare armonie complesse ma anche, a un certo punto di dire “Quel dannato circolo delle quinte!”, per buttarsi esclusivamente su un lavoro polifonico e orizzontale, di stratificazione del materiale ritmico e melodico, senza badare alla funzione strutturante dell’armonia. Ma da Mingus c’è sempre da imparare: su questo non vi può essere alcun dubbio».
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L’organico di base della Lydian, per l’occasione, è arricchito di una seconda tromba e della chitarra flamenca, mentre le tre ance ampliano le loro possibilità multistrumentistiche, così che i fiati oltre i quattro sax principali si estendono al clarinetto, clarinetto basso, flauto e oboe. E’ pochissimo usato quest’ultimo strumento nel jazz; vedeva all’opera cinquantanni fa Dick Hafer nella storica seduta di incisione, mentre attualmente forse unico strumentista jazz di una certa levatura è Paul McCandless. Con eccezionale spirito di adattamento questi musicisti sono poi stati in grado di passare celermente da uno strumento all’altro, superando le evidenti difficoltà dell’esecuzione live.
La coreografia è stata caratterizzata da un approccio pregnante allo spirito mingusiano, la libertà dei corpi dei danzatori istintivamente aderente al prorompere della musica, quasi essi stessi strumenti nel sottolineare anche gli immancabili aspetti chiaroscuranti, coinvolgendo in certi passaggi pure il Conduttore, quinto danzatore in scena.
E l’aleggiante spirito di Mingus è stato concretizzato da un lume acceso, a bordo palco, al centro, e per tutta la durata dello spettacolo, che ha offerto coralità espressiva, sia musicale che coreografica, con voci timbricamente e culturalmente differenti. Azzardo, scommessa, attrattiva per la danza sono alla base della cosiddetta triplice personalità di Mingus; l’espressione della polifonia, le variazioni metrico-timbriche della sua musica ne caratterizzano l’aspetto. Il jazz di Mingus è quanto mai vivo, attuale e suscettibile di ampie possibilità di sviluppo da parte di chi proficuamente voglia percorrere gli infiniti ed ancora nascosti sentieri della musica afroamericana.
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A fine concerto, lungo il corridoio di centro sala, incontro per caso Franco Fayenz. Davisianamente gli dico «E allora?». La sua risposta, convinta: «Mi è piaciuta!» In sole cinque parole, fra domanda e risposta, tutta l’essenza di una stupenda serata di grande musica e non solo. Mi reco nei locali riservati agli artisti. Sulla soglia del camerino incontro Riccardo: ci abbracciamo, lo ringrazio per avermi dato la possibilità di vivere un evento emotivamente appagante, imperdibile.
Siamo commossi, consapevoli di condividere un accadimento che ha lasciato il segno. Domani sarà un altro giorno e si parlerà di questo. «Solo il parlare di musica è meglio della musica». L’aforisma è di Gabriel Garcia Marquez. Mi spiace, è un pensiero che non condivido. La forza, la poesia della musica trascende le più nobili parole che egli pur sapeva ben utilizzare. Come Mingus, anche Gabo non è più di questo mondo. Se ne è andato oggi, per sempre.