Swiss Jazz: Samuel Blaser Consort in Motion – A mirror to Machaut

Swiss Jazz: Samuel Blaser Consort in Motion - A mirror to Machaut

Songlines Recordings – SGL 1604-2 – 2013




Samuel Blaser: trombone

Joachim Badenhorst: clarino basso, clarinetto, sax tenore

Russ Lossing: piano, Fender Rhodes, organo Wurlitzer

Drew Gress: contrabbasso

Gerry Hemingway: batteria, percussioni






Innovativo, visionario, per molti versi portatore di un radicalismo oggi non difficile a riconoscere, l’originale Guillaume de Machaut lasciò una produzione di tratto compositivo originale che colpirà anche i non specialisti per le lancinanti forme melismatiche e le seduttive soluzioni ritmiche decisamente permeato da quei tratti orientalisti veicolati nell’Europa del Sud dai cosmopoliti Trovatori, che per vie parallele determineranno forti filoni morfologici del canto gregoriano, ma che per molti secoli a seguire rimarranno letargici e sommersi nel sentire e nelle forme dell’Occidente.


Operazione per vari versi paragonabile (ma secondo percorsi e trovate affatto indipendenti) a certe spregiudicate seppur enciclopediche “revisioni” della serialità Uri Caine, o certi “ibridi mutanti” alla Hilliard-Garbarek, l’approccio multicentrico in Mirror to Machaut al Maestro e probabilmente profeta da Reims, procede alternando originali temi machauttiani con brani a firma di Blaser, che appare investito dalla scia evidentemente estesa del grande e poco imitato ascendente in arte.


Operazione non nuovissima per la band, che aveva già abbordato e rielaborato un programma cinque-seicentesco in una precedente incisione con lo speciale coinvolgimento di Paul Motian, e rinnova adesso le sue fila con identità di nitido profilo non solo sulla carta.


Esordio atmosfericamente intricato nelle tessiture della notte in Hymn, distante l’enigmaticità di Saltarello, e la dicitura cortese “in purezza” di Dame, si vous m’estes lonteinne arduamente lascerebbe presagire gli sviluppi invece assai concitati della revisione grintosamente jazzata, così come sortisce assai curiosa la risoluzione early-fusion di Color; prezioso il clima bandistico con cui si ricalca alla lettera il nitido tema De fortune me doy pleindre et loer e, rarefatta, la trance dalle irradiazioni gregoriane di Cantus Planus si fa ancor più evanescente nei disarticolati indugi di Introït, per poi infittirsi preludendo dinamica all’ariosa meditazione Tels rit au main qui au soir pleure.


Di pregio e provvista d’anima la personalità del contributo solistico delle ance di Joachim Badenhorst così come delle tastiere la versatile e interventista sezione ritmica sostenuta con versatilità dai solidissimi Gerry Hemingway e Drew Gress. Dell’animatore Samuel Blaser, il profilo di hard-bopper evolutosi verso l’avant-jazz senza bypassare i più basilari pannelli del mobile affresco free si ritrova, esposto e rimesso in gioco, lungo una sequenza in cui non prevarica alcuna individualità percorrendo con tratto versatile il fascinoso programma.


Buona parte dei materiali è qui oggetto di una solida dispersione in cui le energie aeree appaiono nell’espressione dell’ensemble bilanciare le forze terree, e in cui la pulsante vena free s’esprime passando per una riflessione stilistica che percorre preziose venature dell’idioma jazz non attentando, interagendovi anzi, alla struttura isoritmica dell’ispirato cantore dell’Ars Nova.


Ad ulteriore consolidamento di un’articolata discografia (per Hatology, CleanFeed, Intakt, Fresh Sound, Kind of Blue), il dotato trombonista sortisce con una interessante e colta proposta che non è solo tributo ad una rara firma, quanto una fine verifica di una consistente dotazione interpretativa. Non è questa la sede, probabilmente, per invitare a gustare “in originale” le intuizioni del grande trecentista (ad esempio nella grande integrale dell’Ensemble Musica Nova, per nulla destinata ai soli cultori), ma certo anche questa esperienza conforta la bontà d’intuizione nel recuperare interattivamente il poeta che già ha ispirato le attenzioni di Kronos Quartet o più recentemente di Noël Akchoté o Michael Wollny: nella revisione/interpretazione di Blaser & C., che non fa del tutto svanire la mistica ricorrente nelle stanze di Machaut, di questi si riconferma l’atemporalità del genio, e del più solido linguaggio jazz l’osmotica attitudine a guadagna universalità aprendo il suo già articolato respiro nel coniugarsi a “radici” remote solo nella memoria ma atemporale e fluido veicolo di pan-musicalità.


Link di riferimento: http://samuelblaser.bandcamp.com/album/a-mirror-to-machaut