Paolo Russo Quintet – Fellini Goes Jazz

Paolo Russo Quintet - Fellini Goes Jazz

Zina Zinetti Music – ZZM001 – 2014




Paolo Russo: pianoforte, bandoneón, tromba, computer programming

Nico Gori: clarinetto

Emanuele Cisi: sax tenore

Francesco Calì: fisarmonica

Jesper Bodilsen: contrabbasso





Come recita il sottotitolo del lavoro, Fellini goes jazz è, in realtà, un omaggio in chiave jazz a uno dei più importanti compositori del novecento italiano, vale a dire Nino Rota. Paolo Russo guida un quintetto senza batteria, dove trovano spazio fiati e mantici, in una intelligente “esplosione melodica”. Per riprendere con ordine il filo del lavoro condotto da Paolo Russo va prima di tutto messo in risalto il repertorio presente nel disco si divide in due grandi sezioni: la Fellini suite e la Godfather suite, costituite dalle musiche scritte da Rota per i film del regista romagnolo e per la saga diretta da Francis Ford Coppola. Ad eseguire dal vivo al Montmartre Jazzhus di Copenaghen è una formazione di “italiani in Danimarca” con l’aggiunta di un “danese spesso in Italia” come Jesper Bodilsen al contrabbasso, per sviluppare la commissione richiesta dal direttore artistico del club in occasione del Copenaghen Jazz Festival 2013: si specchiano perciò nelle partiture e nelle interpretazioni caratteri di distanza e vicinanza, di rivisitazione e di straniamento, di avvicinamento e di nostalgia.


Fellini può rappresentare senz’altro una delle chiavi più immediatamente riconoscibile all’estero di una italianità conclamata, dal bianco e nero splendente de La Dolce Vita alla riflessione introspettiva di Otto e mezzo, dal realismo onirico di Amarcord alle sfarzose immagini di Casanova. Allo stesso modo, la forza espressiva della regia di Coppola e delle interpretazioni dei grandi attori italo-americani, la vicenda raccontata da Mario Puzo e, non ultimi, certi “facili” stereotipi richiamano il carattere italiano. Ma in entrambi i casi, è quanto meno agevole immaginare quale sia stato il ruolo di Rota nel definire questo carattere, comprendere come e con quale profondità la vena melodica portata dal compositore sia presente per arricchire il significato stesse delle pellicole, per completarne il valore artistico.


Paolo Russo riprende questo materiale e lo rilegge secondo quelle che sono state le sue esperienze nel corso di questi ultimi anni. Incontri sonori come il bandonéon e i viaggi in Argentina, le collaborazioni con musicisti provenienti da ogni parte dell’area mediterranea, non ultimo la creazione di una sorta di “colonia” italo-danese con scambi reciproci, come rappresenta questa formazione o come raffigura la presenza di Russo, al bandonéon appunto, nel recente Scenografie di Bodilsen. Il lavoro fatto dal leader per reinterpretare brani celeberrimi come Amarcord, The Godfather Waltz o La tromba di Polydor è discreto, non tenta di sovrastare la matrice originale: punta piuttosto a ricondurla alle necessità di una formazione totalmente diversa da quella di partenza, ne rispecchia l’attitudine melodica, la riconoscibilità, la condivisione, la leggibilità per così dire. A questo impianto, si unisce una idea di blues, di improvvisazione, di grammatica jazzistica, di interplay. Fellini goes Jazz tradisce, in qualche modo, il proprio titolo con una gestione più cameristica: il quintetto possiede infatti una struttura leggera, unita da un collante trasversale, per così dire, che nasce dalla conoscenza dei film, dalla matrice italiana della formazione, dall’approccio rispettoso dei cinque. Su questo si basa l’arrangiamento gestito da Russo: raccordi, situazioni, spazi per la libertà e specials si dispongono intorno alla scrittura di Rota, a offrire gli spunti per un dialogo con il mondo esterno all’originale, portato dalle esperienze di musicisti come Cisi, Gori, Russo, Calì e Bodilsen e dalla sensibilità del leader nel disporre la cornice. La rilettura non è mai sovraccarica, anzi punta ai silenzi, dal momento che il disegno degli arrangiamenti comprende momenti in cui la formazione si riduce al duo o al solo, oppure al dialogo del bandonéon con le voci e i suoni del dialetto dell’Italia meridionale. In questo senso, anche la soluzione scelta per la lineup aiuta a non far debordare le atmosfere circensi de La passerella di Addio.


Come si diceva sopra, Fellini, Rota e la saga del Padrino rappresentano in maniera iconica molti aspetti dell’italianità, almeno come viene vista al di fuori dei nostri confini. Riprendere questi brani vuol dire anche giocare con alcune delle matrici nostrane, con la connessione stretta e tanto caratterizzante tra clarinetto e fisarmonica, con la deriva melodica e certe atmosfere rurali. E la rilettura procede sempre tenendosi laterale agli aspetti più consueti, a quelli più vieti: li stuzzica, li sottende, li lascia da parte, li richiama in maniera aperta. In realtà il filo più importante nell’operazione compiuta da Russo è quello più rigoroso, vale a dire riportare alla sua essenzialità le melodie: gli accenti più tipici o identificativi, gli inserti diversi – dalle contaminazioni musicali alle voci, alle improvvisazioni – diventano entrambi strumenti per non dare eccessivo peso a quel rigore e ricollocare, allo stesso tempo, le intenzioni personali e la contemporaneità.