Foto: Alessandro Ferrantelli
Fusion Power – Victor Wooten live
Palermo, Teatro Golden – 10.5.2014
Victor Wooten: basso elettrico
Krystal Peterson: voce
Joseph Wooten: tastiere
Derico Watson: batteria
Lo svolgimento di sabato sera non ha impedito di strappare qualche centinaio di appassionati ad altre forme d’intrattenimento ad uno show in quartetto di Victor Wooten, storico e vivace motore a bassi profondi dei Flecktones del banjoista Béla Fleck, e che ha consolidato la sua notorietà con la recente incisione all-bass Thunder (2008), che sotto la sigla S.M.V. lo riuniva in trio al davisiano Marcus Miller nonché ad uno degli indiscussi padri dello strumento, Stanley Clarke.
Non mancando di profonde sintonie verso le forme rock, certamente Wooten si è precocemente sintonizzato sulle relative ibridizzazioni che hanno aperto l’universo della fusion già della seconda metà degli anni Settanta, mantenendovisi peraltro fedele come in buona sostanza palesava il programma della serata in oggetto, che sul palcoscenico di Palermo giunge nelle ultime fasi di una corrente stagione che ha già compreso storici nomi quali Tuck & Patti e Alain Caron.
Evidentemente molto a proprio agio nello spendersi come istrionico animale da palcoscenico e performer (e calzando per l’occasione un’ammiccante T-shirt d’italici colori), Wooten si trovava spalleggiato con efficacia, non solo nella progressione dei brani ma anche in vari siparietti, particolarmente col fratello maggiore e tastierista Joseph (da lungo tempo animatore della Steve Miller band), trovando adeguati supporto e complicità nel batterista Derico Watson, di drumming massiccio e di poche sorprese ma del tutto adeguato alla spettacolare circostanza, e tanta bruna e testosteronica baldanza si completava nella presenza nient’affatto antitetica della quasi albina vocalist Krystal Peterson, di evidente e sperimentato mestiere, nonché di cultura e vedute integralmente “born in the USA”.
Dilagando con le modalità stilistiche attese da un pubblico massicciamente rappresentato dalla fascia più giovanile, palesemente reattivo e pressoché senza riserve, il repertorio procedeva secondo estratti di registrazioni non soltanto a firma di Wooten, non avaro di componenti recitar-cantando secondo una prevalente e un po’ curiosa formula bluesy-rap, nonché “parlate”, lanciandosi anche in un’estesa tirata (peraltro garbata e civilissima) verso i presenti, scorti nell’ormai abituale, flagrante atto di riprendere il tutto con immancabili smartphones, tablet e quant’altri devices, e persuasivamente invitati a non diffondere indiscriminatamente sul web i materiali della serata, argomentando sulle ricadute ai danni degli artigiani del music-business da parte del dilagante e indiscriminato broadcasting.
Nell’insieme da manuale le soluzioni e gli arrangiamenti alla base dell’esibizione, il cui protagonista nulla lasciava sul tavolo in termini di auto-celebrazione virtuosistica, incluse le note “ginniche figurazioni” al limite dello spudorato, ma non particolarmente dilaganti e in ultima analisi funzionali al giocare con la musica proprio di questo fantasista, che concludeva la scaletta ufficiale del programma in un prolungato solo in cui non abdicava affatto alla scatola dei sortilegi tutta loops, campionature, slap e quant’altre trovate, pur non mancando di ricorrere ad una esposizione di formula anche intimistica.
Richiamato a gran voce, il tonico quartetto invitava i presenti letteralmente alle danze retrodatando il repertorio con la stewewonderiana Superstition, ma tutto lo spirito dai Seventies in poi s’affermava trionfante: per quanti avessero perso la dimensione di quanto la fusion sia stata o permanga grande, di certo Wooten se ne conferma un (infaticabile ed entusiasta) suo profeta.