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Slideshow. Riccardo Morpurgo.
Jazz Convention: Chi è Riccardo Morpurgo?
Riccardo Morpurgo: Sono nato a Trieste il 9 aprile 1970. Sono un musicista, pianista, compositore e improvvisatore. Mi piace la musica, la natura, i boschi, perdermi dal sentiero principale, amo la montagna e tutte le cose autentiche. Mi piace fare un orto. Amo la comicità : Massimo Troisi, Paolo Rossi, Buster Keaton, Charlie Chaplin, Jim Carrey e i pomodori cuore di bue. Mi piacciono i film nordici, Federico Fellini e la musica di Johan Sebastian Bach.
JC: Che tipo di studi musicali hai fatto?
RM: Ho studiato pianoforte classico al Conservatorio poi mi sono appassionato del progressive rock: Genesis anni 70 e King Crimson, ho iniziato a comporre a 13 anni e subito dopo ho scoperto la musica ECM ma il jazz non lo digerivo, nel senso tradizionale del termine. Ho cominciato a suonare con qualche gruppo mie composizioni e deliri cosmico-adolescenziali. Mi piacevano i tempi dispari e le composizioni lunghe: le suite. Mi piacciono ancora entrambi.
JC: Poi però il jazz…
RM: A un certo punto sono arrivato al jazz “appena” a 24 anni dopo aver ascoltato un disco di Bill Evans e da li mi si è aperto un mondo. Ed eccomi qua ancora a combattere. Ho in attivo un pò di dischi con varie formazioni quali trio, quintetto, quartetto e piano solo.
JC: Mi parli del tuo nuovo disco?
RM: Il cd di piano solo – Dove è il Nord – è nato da uno stimolo venuto da una mia amica che mi conosce molto bene, sia umanamente che musicalmente. Mi ha detto semplicemente: «Perché non fai un disco delle tue musiche per piano solo?». Allora mi son chiuso a casa un po’ di giorni, ho messo lo zoom dentro la coda del piano e son partito a suonare ed improvvisare sulle mie musiche. Dopo un po’ mi son accorto che girotondare attorno alla propria musica scritta con un atteggiamento disinvolto e avere un’interpretazione libera rende l’atto musicale più umano, come dire meno dogmatico. Meno Morpurgo-Dogmatico; è un po’ come liberarsi da se stessi ed esserlo ancora di più.
JC: E questa sorta di “liberazione”?
RM: È realmente improvvisare. Cioè interprete e compositore stanno assieme. Alcuni brani invece sono delle improvvisazioni vere e proprie. Sono orgoglioso di questo disco anche se ora farei qualcosa di diverso. Il cd l’ho chiamato Dove è il Nord ed è uscito per la Calligola Records grazie a Claudio Donà che io ringrazio per la fiducia. Il nord da un po’ il senso dell’orientamento. Il nord mi piace. Forse un giorno farò un disco a sud dei miei pensieri.
JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?
RM: Il primo ricordo è un 45 giri di Burt Bacharach che mio padre mi diede credo quando avevo 4 o 5 anni? Era la versione originale che il compositore ha scritto per il film Butch and Cassidy and the sundance kid. Io sono legato a quell’esecuzione, per me è la più bella. Ricordo che mettevo il 45 giri in continuazione dentro al mangiadischi. Poi puntualmente lo rompevo e mio padre me ne comprò non so quante copie. Ho il chiaro ricordo del piacere che avevo ad ascoltare e sentire gli accordi maggiore settima e il giro armonico. Capivo la musica e lei capiva me. Insomma amore.
JC: Ma alla fine quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista jazz?
RM: Sono un musicista jazz? Il jazz è un linguaggio che permette di spaziare dappertutto: se sai suonare jazz puoi suonare musica rom, mazurche popolari, rock, musica classica e forse anche il jazz. Ma direi soprattutto la sperimentazione dell’improvvisazione. Nessun atto è più puro che improvvisare. O meglio affinché l’improvvisazione funzioni bisogna dire la verità. E se non sei puro e sincero non stai improvvisando. È un po’ come fare una minestra usi ingredienti che conosci ma puoi metterci tante spezie che vuoi e soprattutto per non diventare dei teorici devi saper annusare il risultato. Il fiuto.
JC: E in particolare te la senti ora di definirti un pianista jazz?
RM: Come già detto prima appunto Bill Evans è stato il mio primo maestro. Ma oggi mi piacciono tanti pianisti, anche se il primo amore non si scorda mai. Tra i pianisti mi piacciono Paul Bley, Lennie Tristano, Andrew Hill, Bojan Zulfikarpasich, Herbie Hancock, Keith Tippett, Keith Jarrett insomma tanti…
JC: Ma cos’è per te il jazz?
RM: Il jazz è stato una liberazione dalle forme classiche, o meglio un integrazione a queste. Ha combaciato con una rivoluzione sociale e culturale. Se parliamo del “genere jazz”, beh è stata la rivoluzione della musica e della cultura. È stato l’unione del mondo dei neri e quello dei bianchi. Se parliamo dell’atteggiamento jazz invece è un modo di essere nella musica, quindi tanti generi musicali possono essere jazz. Trovo invece pericoloso però interpretare tutta la musica in maniera jazzistica, cioè usare manierismi. Per me il jazz è essere nel ritmo e camminare: una cosa del genere…
JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica?
RM: La musica per me è metafisica: cura mente e corpo: Corpo nel senso che quando l’energia scorre bene fai delle cose che normalmente non puoi o non vuoi fare nella vita quotidiana. Assistere ad un evento musicale è come assistere ad una preghiera rivolta al cosmo, è un atto magico. Mi sento Panoramix quando faccio musica. La mente perché smette di pensare e comincia a “essere”.
JC: Mi spieghi meglio questo concetto molto filosofico?
RM: Quando ad esempio fai la spesa non pensi alla stessa cosa di quando stai improvvisando. Forse quando suoni pensi a qualche divinità o ad una bella donna, certo anche facendo la spesa puoi pensarlo se la fruttivendola è bella, ma di sicuro non cominci a dondolare qua e là e a contorcerti nell’atto di pagare il conto… Suonare è come partecipare ad una seduta psicanalitica correndo in un bosco. Si tratta di alchimia, è separare per poi riconciliare, è come fare l’amore… ecco l’ho detto!
JC: Giusto! Cambiamo argomento… Tra i dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?
RM: Non lo so, credo a tutti. Diciamo che quello di piano solo mi rappresenta e mi mette a nudo. Comunque no, non sono attaccato a le cose che faccio. Forse deve ancora venire il cd al quale sarò particolarmente affezionato.
JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?
RM: Anche questa è una domanda difficile da rispondere. Non saprei… L’Offerta Musicale di Bach o Kind Of Blue di Miles Davis, questa più per l’atmosfera che per la musica; You Must Believe In Spring di Bill Evans? È veramente difficile. My Song di Keith Jarrett? Te lo giuro non saprei. Mi dispiace.
JC: Quali sono stati invece i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?
RM: I Beatles per la musica e per la cultura, Gurdjieff idem, Massimo Troisi per la cultura. James Hillman scrittore e psicanalista per la salvezza dell’anima. Carl Gustav Jung perche è cosi, Roberto Baggio, Maradona, Pelè per restare con i piedi per terra e Douglas Adams per impazzire. Sono sincero però quando ti dico che tutti e nessuno mi hanno influenzato. Ho persino creduto in Dio qualche volta ma mi è passato presto e sono passato a Nelson Mandela ma poi è morto.
JC: E i pianisti che ti hanno maggiormente influenzato?
RM: Nessuno e tutti. Forse Bill Evans e Paul Bley… ma è un’influenza passata. Ora sto bene.
JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?
RM: Credo quando ho suonato un piano solo recentemente al Candiani di Mestre. Io aprivo un doppio concerto e poi dopo di me c’era Pietro Tonolo. Pietro è stato mio maestro ai tempi degli studi a Siena Jazz e per me era un’emozione e un onore suonare prima di lui. Mi son sentito tranquillo e sincero tutto qua.
JC: Quali sono i musicisti con cui ti piace collaborare?
RM: Amo suonare con il mio trio composto da Simone Serafini e Luca Colussi. Poi suono bene con Giovanni Maier che reputo un grandissimo musicista e suonare con lui è sempre stimolante per l’improvvisazione. Ritorno un po’ al discorso dell’alchimia. Ultimamente collaboro con un giovane musicista sax contralto: Giovanni Cigui, sembra di conoscersi da sempre, è molto bravo e maturo sotto ogni punto di vista.
JC: Come vedi la situazione della musica in Italia?
RM: Devo esser sincero non trovo niente di entusiasmante. Vedo molta tecnica, ma non trovo nessuno che mi colpisca particolarmente. È come se mancassero dei contenuti nella musica che ascolto. Tutti diventano il nuovo Brad Melhdau o Jarrett nessuno che sia se stesso. Magari brutti ma se stessi. Poi a livello compositivo trovo un po’ povera la scena italiana e mi dispiace.
JC: E più in generale della cultura in Italia?
RM: Trovo disastrosa la situazione culturale in tutt’Italia. Infatti se voglio guardare un film cerco tra la filmografia svedese o bulgara che è povera ma buona, anche in quella balcanica. O in un certo tipo di film americani. L’Italia ha toccato delle vette negli anni Sessanta o forse Settanta ancora.
JC: Sono perfettamente d’accordo con te…
RM: Se confronti qualsiasi video o trasmissione degli anni ’60 o ’70 con la televisione di oggi la differenza è evidente, oggi tutto è finzione, apparenza, è una competizione senza contenuti, è tanto sbirciare dietro le telecamere, spiare e farsi gli affari degli altri, per non parlare dell’emozioni che quasi non esistono, e se esistono sono esagerate senza contenuto e dignità. Se guardi un filmato di Luigi Tenco della Rai anni Sessanta ti vengono i brividi e fai fatica a non piangere. La fierezza e lo spessore di Tenco nella ripresa Rai nella quale suona Vedrai vedrai è intensa. Ovviamente non è l’unico.
JC: Hai un giudizio più o meno definitivo sul problema?
RM: Trovo la situazione italiana tragica. O almeno per quello che si vede. Ci sono delle cose molto belle e autentiche, vari musicisti di talento che stanno emergendo, anche solo nella mia piccola città. Ma la politica e il mondo italiano preferisce morire di noia e non guardare a queste realtà che sono rimaste buone e spero si svilupperanno. Ma non smetto di credere e sto verificando che qualcuno si sta svegliando. Speriamo bene.
JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
RM: Sto cercando di far uscire un cd del Riccardo Morpurgo 5et. È un cd di composizioni tutte scritte: composizioni mie, una di Mirko Guerrini, una dei Beatles e una dei King Crimson. La formazione è appunto con Mirko Guerrini al sax tenore, poi Walter Beltrami alla chitarra elettrica, Simone Serafini al contrabbasso e Luca Colussi alla batteria.
JC: C’è qualcosa che vuoi aggiungere su quest’ultimo punto?
RM: Ecco, a questo disco sono particolarmente affezionato, soprattutto per il titolo Lemniscata che è anche una mia composizione. Il motivo è che corrisponde ad un momento recente della mia vita dove ho fatto un percorso con una psicoterapeuta la quale mi ha fatto conoscere questo simbolo. La Lemniscata: simbolo dell’infinito. Ringrazio Lucia Lorenzi per questo.