Trilogy. L’Italian Jazz Orchestra incontra Quintorigo e Roberto Gatto

Foto: Fabio Ciminiera










Trilogy. L’Italian Jazz Orchestra incontra Quintorigo e Roberto Gatto

Forlì, Teatro Diego Fabbri – 1.5.2014


La quarta produzione dell’Italian Jazz Orchestra ha giocato in qualche modo con il numero tre. Tre le “entità” sul palco, vale a dire Quintorigo e Roberto Gatto come solisti insieme alla formazione “residente”. Tre sono stati i compositori presi in esame: in ordine di apparizione, Charles Mingus, Jimi Hendrix e Frank Zappa. Se si vuole proseguire poi sulla scia dei numeri, al ponte tra mondo classico e jazz, in questo caso, si è unito come terzo genere musicale il rock e per la prima volta la compagine forlivese è stata coinvolta all’interno del cartellone di Crossroads. Infine, ultimo dettaglio numerico, sono stati 28 i musicisti che hanno dato vita a Trilogy, questo il titolo dato al concerto


Il repertorio della serata è stato scelto, in pratica, all’interno del mondo sonoro e musicale affrontato negli anni dai Quintorigo: formazione naturalmente rivolta a lavorare con la propria voce su materiale di provenienza altra. Il gruppo, sin dai suoi esordi, ha giocato con le possibilità offerte da una line-up cameristica ed elettrificata, dal rapporto con voci estremamente caratterizzate e in grado di aggiungere una ulteriore strada espressiva. Negli anni, gli “incontri” con Mingus, Hendrix e Zappa hanno dato vita a tournée, dischi, registrazioni di singoli brani. La prospettiva musicale del gruppo, in definitiva, ha fatto propria anche la trasformazione di materiali di altra provenienza per le esigneze di un organico particolare e aperto a collaborazioni con interpreti di volta in volta diversi.


L’incontro con l’Italian Jazz Orchestra riveste e arricchisce questo percorso e permette la convergenza con un’altra realtà, che negli anni, ha posto nel suo DNA un atteggiamento relativamente simile: ibrido nella sua stessa concezione, l’ensemble affianca la presenza di sezioni di archi e fiati, l’attenzione alla composizione e all’arrangiamento, una visione ritmica di stampo jazzistico. Se la filosofia dell’Italian Jazz Orchestra si richiama direttamente al concetto di Third Stream – teorizzato da Gunther Schuller ed esplicitato sin dagli anni ’50 da artisti come George Russell e Gil Evans, da formazioni come il Modern Jazz Quartet per citarne solo alcuni – è altrettanto naturale considerare come a distanza di oltre cinquant’anni il concetto proposto sul palco dall’ensemble abbia accumulato informazioni, spunti e prospettive diverse, più legate all’attualità e riesca a utilizzare come mateirale di partenza anche altre derive e sintesi musicali, scaturite da ragionamenti analoghi a quelli della Third Stream oppure poggiate su riferimenti eterodossi o ancora convergenza di varie pratiche musicali.


Le tracce provenienti dai dischi di Mingus, Hendrix e Zappa conoscono in questo modo un trattamento doppio: prima, cioè, quanto pensato e manipolato dai Quintorigo e poi quanto applicato per l’ensemble ampio dai vari arrangiatori che hanno lavorato sui brani appositamente per il concerto del primo maggio, vale a dire Fabio Petretti, Massimo Morganti, Stefano Ricci e Valentino Bianchi. La scelta di alternare brani cantati, suonati da tutto l’organico, dai soli Quintorigo, con l’aggiunta eventualmente di alcuni dei componenti dell’ensemble, come il pianoforte preparato di Michele Francesconi, nell’apertura di Pithecantropus Erectus, o Roberto Gatto, oltre a rendere varia la scaletta, è una necessaria conseguenza di un materiale profondamente sfaccettato, improntato sulla capacità di costruire situazioni non banali e, soprattutto, immediatamente riconoscibile.


La partenza è stata dedicata a Mingus. Jelly Roll, Pithecantropus Erectus, Fables of Faubus, Moanin e Good bye pork pye hat i brani scelti dal songbook del contrabbassista. Come poi accadrà anche per gli altri due autori, Valentino Bianchi, sassofonista dei Quintorigo, legge anche una pagina scritta da Mingus, in questo caso dall’autobiografia Peggio di un bastardo. Si aggiunge la partenza di Fables of Faubus “chiamata” dalla voce dello stesso contrabbassista.


A Jimi Hendrix è stata riservata la parte centrale del concerto, la sezione, forse, di maggiore impatto. Foxy Lady, Hey Joe, Gipsy eyes, Purple Haze, Angel e Red House nel bis i passi hendrixiani scelti per la scaletta. L’ingresso di voce, orchestra e batteria su Foxy Lady di sicuro segna uno dei momenti più coinvolgenti di Trilogy. Il passaggio dedicato al mancino di Seattle vede la vera e propria entrata in scena della voce di Moris Pradella, sia nella dimensione ristretta che con l’organico al completo.


La reinterpretazione di Uncle Meat, Peaches en Regalia, Cosmic Debris, Uncle Reamus e Zomby Woof porta alla concezione orchestrale e articolata della scrittura caleidoscopica di Zappa: la stratificazione sonora dell’organico nel suo complesso rende possibile giocare con le architetture disegnate dal compositore. È anche il modo per arrivare all’apice emotivo e “intellettuale” della serata: meno frequente nelle consuetudini del grande pubblico, ma altrettanto celebrato dai suoi “appassionati” ascoltatori, Zappa offre con le sue pagine il terreno per mettere alla prova l’Orchestra e il rapporto creato con i solisti, per dare sfogo alle potenzialità presenti in una compagine tanto ampia.


Le tante possibili combinazioni presenti nelle pieghe dell’organico, la scelta di una tavolozza sonora ampia, estesa dalla gradazione degli archi classici alle percussioni e al trombone basso e arricchita dagli inserti elettronici, ma anche l’attenzione dedicata alla preparazione del prodotto musicale portano direttamente e in modo cosciente verso un punto di contatto tra i generi, verso un superamento di quanto rimane ancora oggi delle barriere espressive. Il materiale proposto, in questa come nelle precedenti occasioni annuali in cui è stata riunita l’Italian Jazz Orchestra, fa scaturire per forza di cose un risultato originale, proprio per quelle che sono le necessità e i presupposti della formazione.


Lo spazio di movimento viene delimitato dalla necessità di rispettare il senso originario del brano, dalle esigenze dell’organico, dall’intenzione di creare un filo logico e, allo stesso tempo, avvincente per il pubblico: gli arrangiamenti hanno puntato giocoforza non tanto a stravolgere quanto a trovare uno spazio dove la musica potesse fluire con agilità e trovare gli spunti per gli assolo, dove le vari sonorità venissero arricchite dall’incontro. Contrariamente alle prove precedenti, il riferimento di partenza di ciascun singolo brano è ben radicato nelle orecchie degli ascoltatori e degli esecutori: il complesso del lavoro riesce a superare la “zavorra” dell’omaggio per arrivare a una rilettura in grado di mettere in risalto i vari tasselli disposti sul palco.


Un materiale vario e dalle tante possibilità, come si diceva, ma utile per diventare, per la sua validità, per il suo spessore, per il riferimento offerto dai tre maestri il punto di partenza per il lavoro di arrangiamento, riscrittura, ampliamento e stratificazione operato dall’Italian Jazz Orchestra, dai Quintorigo e da Roberto Gatto: se il blues, pur nelle sue diverse coloriture e nella particolarità dei tre approcci, può essere preso come punto di contatto del materiale, sono naturalmente differenti le intenzioni di Mingus, Hendrix e Zappa. La riflessione complessiva in musica promossa da Trilogy, oltre che una collezione di grandissimi brani, risulta nelle possibilità di un flusso di espressioni in cui la coerenza, la matrice unitaria o, se si vuole, la firma complessiva è data da quel lavoro operato sul materiale di partenza, dall’idea di convogliare – piegando al tempo stesso intenzioni e brani – gli sforzi in una opera costante di avvicinamento e di convergenza per mettere, di continuo e vicendevolmente, personalità e materiale l’uno al servizio dell’altra.