Pat Metheny Unity Group @ Parco della Musica

Foto: da internet










Pat Metheny Unity Group @ Parco della Musica

Roma, Auditorium Parco della Musica – 18.6.2014

Pat Metheny: chitarre

Chris Potter: fiati

Ben Williams: contrabbasso

Antonio Sanchez: batteria

Giulio Carmassi: tastiere, fiati, percussioni

Quello tra Pat Metheny e l’Auditorium Parco della Musica di Roma è un connubio che da una decina d’anni funziona benissimo per entrambi: il chitarrista americano infatti non perde occasione di inserire una data romana alle sue tournée mondiali, ottenendo di contro un sold out pressoché garantito. Non poteva certo fare eccezione il nuovo tour che lo vede protagonista in tutta Italia per ben otto date, con quella centrale fissata proprio il 18 giugno nella grande Sala Santa Cecilia. Il suo ultimo progetto, Unity Group, è tra i più convincenti degli ultimi anni, con il leader a guidare un quartetto stellare formato da Chris Potter ai fiati, Ben Williams al contrabbasso e Antonio Sanchez alla batteria, l’unico dei tre a collaborare con il chitarrista da oltre un decennio. Una formazione non inedita comunque, con i quattro che avevano già inciso nel 2012 un fortunato album e successivamente protagonisti di una serie di concerti che avevano spinto Metheny a definire il progetto come uno di quelli che cambiano la vita, una sintesi perfetta in grado come nessun’altra di coprire l’intero spettro delle cose fatte durante gli anni come bandleader.


In effetti i quattro, in quasi tre ore di concerto, attingono a piene mani da tutte le fasi della produzione, recente e non, di Metheny, da Bright Size Life a Secret Story, dal materiale a firma del Pat Metheny Group fino alle ultime composizioni scritte proprio per l’Unity Group. La serata è fondamentalmente divisa in tre parti: la prima ora è dedicata ai brani più vecchi, quelli del primo decennio ECM, riarrangiati e modellati su questo notevole gruppo. Gli anni sembrano non passare mai per Metheny che, con la solita maglietta a righe e la classica acconciatura di una vita, fa il suo ingresso da solo con la sua multicorde Picasso attaccando con le note di Come And See, presto raggiunto dal clarinetto basso di Potter. Ma è quando, dal brano successivo, i due passano rispettivamente alla chitarra elettrica ed al sax tenore che si iniziano a sentire le cose migliori. Qui vengono ripresi i brani e le sonorità dell’album 80/81, con Potter a fare egregiamente le veci di Brecker e Redman padre. L’assenza di tastiere lascia i due frontmen liberi di improvvisare in lunghi monologhi densi di note e virtuosismi, con una ritmica dritta che offre un sostegno asciutto di grande impatto. A fare la differenza, in questa prima parte, sono senza dubbio le qualità dei singoli, ma comunque è tutto l’insieme a funzionare bene in un interplay fluido per una musica che brilla per intensità e gusto degli arrangiamenti. Dopo circa un’ora e con i musicisti ormai caldi, fa il suo ingresso il polistrumentista italiano Giulio Carmassi, (alternerà tastiere ai fiati, legni ad ottoni con strabiliante disinvoltura), ma anche parte di quella Orchestrion ideata proprio da Metheny qualche anno addietro, una sorta di sintetizzatore acustico che negli ultimi anni non manca mai. I brani presentati sono quelli racchiusi in Kin, il secondo in studio della Unity Band, con le atmosfere che non si discostano molto da quelle fin qui ascoltate. Kin, come spiega lo stesso Metheny, non è stato scritto pensando ad un quartetto ma immaginando la musica scritta nella sua completezza orchestrale, ma, ancora una volta, l’Orchestrion appare un elemento più scenografico che di sostanza e a mettersi in mostra sono più gli interventi di un preziosissimo Carmassi, un vero e proprio jolly. Al termine di questo lento frammento inizia l’ultima parte, la più coinvolgente, dove finalmente si può facilmente cogliere la portata dei musicisti. Metheny cambia completamente mood passando ad una dimensione più intima proponendo tre standard di fila con, a turno, uno dei tre componenti del gruppo e dove spicca una Countdown eseguita in coppia con Potter. Nel finale ancora tutti i protagonisti chiamati insieme sul palco per i due brani conclusivi più i bis, ed il concerto che si chiude proprio come si era aperto, con un Metheny nuovamente acustico riprendere il tema di Last Train Home in solitudine.


Alla fine è un trionfo, con i fedeli fan del chitarrista pienamente soddisfatti di un percorso che guarda avanti senza rinnegare il passato: la scelta di questa formazione si è rivelata alla fine vincente, raro esempio in cui l’insieme risulta maggiore della somma delle singole parti. Metheny è come sempre generoso e non si risparmia mai, suonando forse troppo, ma lasciando il meritato spazio ad un trio ben amalgamato e di spessore. Ciò che non convince affatto, ancora una volta, è l’utilizzo di questa orchestra meccanica troppo complessa e macchinosa, superflua soprattutto quando si hanno a disposizione compagni di palco di tale calibro.