Foto: Fabio Ciminiera
European Jazz Clubs. Sedal Sardan, A-Trane.
Berlino, A-Trane. 18.11.2013
Jazz Convention: Partiamo dagli inizi dell’A-Trane, tracciamo una breve storia del club.
Sedal Sardan: L’A-Trane è stato fondato nel 1992. L’idea era quella di avere un jazz club nel centro della città. C’era il Quasimodo all’epoca, ma era molto grande, dato che può accogliere oltre 350 persone: non c’era un club della “misura” che siamo abituati a immaginare. Un’altra nostra esigenza era quella di non essere su un viale trafficato, in modo che il pubblico non venisse da noi per caso, ma perché desiderava venire: il motivo per cui abbiamo scelto di essere in una strada secondaria è stato proprio quello di attirare persone concentrate sul jazz e sulla musica che proponevamo. Il nome è naturalmente la combinazione del brano Take the A Train, scritto da Billy Strayhorn e reso celebre in tutto il mondo da Duke Ellington, e il soprannome di John Coltrane, Trane. L’A train era la linea della metropolitana di New York che portava i musicisti dai quartieri dove vivevano, spesso dei veri e propri ghetti dalle condizioni generali molto povere, al centro dove sui trovavano i locali in cui si esibivano. Noi siamo nel centro di Berlino, Charlottenburg e Kurfunstendamm possono essere considerate la Manhattan di Berlino, e i musicisti all’epoca vivevano a Prenzlauer Berg, Mitte e altri quartieri più periferici e venivano in treno qui al club: questa è stata un po’ l’immagine che abbiamo condiviso all’inizio del nostro percorso.
JC: Quali sono stati i vostri obiettivi all’inizio: avete puntato direttamente ai nomi internazionali, avete guardato alla scena locale, siete cresciuti passo dopo passo?
SS: Quando apri, come è facile immaginare, nessuno ti conosce. Devi dimostrare che il tuo concetto è buono, che la tua visione è fondata, che l’ideologia dietro quello che fai è solida e, naturalmente, devi lavorare per questo. La nostra visione era quella di dare vita a un jazz club per concentrarci in modo preciso sulla musica e non sugli aspetti commerciali o sulle bevande. La musica al primo posto: ogni cosa doveva girare intorno alla musica. Questo era il concetto su cui ci siamo basati: il nostro pubblico pagava per sentire un concerto e noi dovevamo dare in cambio musica di alta qualità, con una ottima acustica, buoni vini e cocktails. Uno staff professionale, anzi per dire meglio, un gruppo di lavoratori appassionati – in realtà odio la parola “professionale” – persone che amano quello che fanno, altrimenti non le assumiamo, questo è molto importante. Cerchiamo di portare avanti il club senza sponsor, contando sul nostro rapporto con il pubblico: se sono felici, torneranno. Abbiamo ragionato con una prospettiva di lungo termine, non di breve termine. Abbiamo creato una nostra rete autentica, persone veramente interessate a quello che facevamo. I primi musicisti che abbiamo proposto non erano grandi nomi o, in generale, nei nostri primi programmi non c’erano solo musicisti conosciuti al pubblico: abbiamo cominciato con musicisti locali e per due anni circa abbiamo proseguito così prima di cominciare a invitare i primi nomi internazionali.
JC: Avete portato trasformazioni sostanziali al club negli anni oppure, grosso modo, il club è simile a quello con cui siete partiti?
SS: La struttura generale è quella con cui siamo partiti. Se decidi di “servire” qualità, devi avere strumenti di qualità e quindi, ad esempio, sin dall’inizio abbiamo un pianoforte Steinway: se non hai le basi, non puoi costruire poi il resto del tuo percorso. Il principale investimento è stato quello necessario a costruire un palco di buona qualità in tutte le sue componenti, sistema di amplificazione, luci, backline, strumenti. Ovviamente, passo dopo passo, abbiamo cercato di migliorare la qualità di ogni singolo elemento, abbiamo seguito le evoluzioni della tecnologia, naturalmente è un processo che abbiamo creato negli oltre venti anni di attività. Ora abbiamo una dotazione sempre più numerosa di amplificatori, tastiere, percussioni e via dicendo in modo da soddisfare ogni necessità dei musicisti che invitiamo.
JC: Come dicevi, poi negli anni, l’A-Trane ha ospitato sempre più spesso musicisti internazionali, il club è doventato conosciuto anche al di fuori di Berlino e dei confini tedeschi. Questo ha cambiato qualcosa nei rapporti con i musicisti? Quando, e come, è successo che da essere voi a dover chiedere ai musicisti di suonare nel club avete cominciato ad avere richieste da parte dei musicisti per poter suonare nel club?
SS: Devo dire che è stato divertente anche questo passaggio. In qualche modo rende il lavoro più facile, ma allo stesso tempo, quanto più sei solido e conosciuto hai un numero di richieste sempre maggiori. La parte difficile del mio lavoro è cercare di ascoltare la musica di tutti i gruppi che si propongono per suonare all’A-Trane e poter dare loro, quindi, una risposta seria sul fatto di poter suonare o meno nel club. Ovviamente non è bello per un musicista sentirsi dire di no: non critico la loro musica. Odio sentire qualcuno che dice che della musica non è buona: non ti piace o non la capisci, bisogna vivere la musica e chi la produce merita sempre rispetto per i propri sogni e per l’impegno profuso nelle proprie creazioni. Però non posso accogliere tutte le proposte che ricevo: devo scegliere quale è la musica che si avvicina ai concetti estetici che ho definito per il mio club. E la migliore risposta che posso dare a un musicista cui rifiuto la possibilità di suonare nel club è proprio questa.
JC: La miglior risposta negativa… la migliore risposta in assoluto sarebbe “ok, come and play!”… (risate – ndr)
SS: Certo, ed è successo molte volte… ma come ti dicevo, il club ha raggiunto i venti anni di attività e abbiamo solo trecento concerti all’anno. La solidità che abbiamo raggiunto fa si che ogni musicista vorrebbe tornare a suonare almeno una volta l’anno: se volessimo immaginare un cerchio all’interno del quale si trovano questi musicisti arriveremmo al punto che non ci sarebbe più lo spazio materiale per aggiungerne di nuovi. Questo è il punto cruciale, perché ho bisogno di offrire cose nuove e fresche e non di ripetere costantemente le stesse cose. Naturalmente non puoi dire di no ai musicisti che hai già fatto suonare e questo rende il cerchio sempre più popolato. E per questo sono sempre alla ricerca di maniere per mantenere fresco e stimolante il programma, con musicisti conosciuti e meno conosciuti: la miscela è la cosa più importante, perché abbiamo bisogno di scoprire nuove cose. Ci sono tanti musicisti che hanno dei messaggi importanti da portare e questi messaggi verrebbero persi se non vengono portati alla ribalta di un palco. Abbiamo avuto dei bei momenti sia all’inizio che in questo periodo: la bellezza dei primi giorni era il senso di scoperta, la meraviglia; via via abbiamo imparato, abbiamo stabilito contatti, abbiamo colto la bellezza dell’esperienza, una maniera diversa di emozionarsi ma sempre intrigante.
JC: Quali sono le sensazioni relative ai dischi dal vivo registrati nel vostro club? Quali sono le emozioni di sentire dire a un musicista “Ho registrato il mio concerto e lo pubblico con il titolo Live at the A-Trane”?
SS: Sono sempre belle sensazioni, è ovvio. Vuol dire che, quando vengono qui, si sentono bene, amano il club, sono sicuri che il suono sarà buono. Il suono della registrazione che viene fatta da noi è lo stesso che hanno sentito sul palco e che ha ascoltato il pubblico presente in sala. Abbiamo creato con la nostra regia sonora una ottima combinazione: tanto che ci si chiede spesso sentendo le registrazioni se sono state effettuate al club o in uno studio. Il pavimento dell’A-Trane è sostenuto da una “camera vuota”, creata da interstizi, e i muri sono concepiti per rispondere alle vibrazioni della musica, a livello microscopico, non una cosa che si avverta ad occhio nudo: questo significa che la musica non ritorna mai con violenza sul palco. Noi permettiamo le registrazioni dei concerti perché offrono un buon riscontro sonoro agli ascoltatori ma non siamo produttori e non ne abbiamo mai prodotte di nostra iniziativa: sono semplicemente il responsabile dell’A-Trane che concede il permesso di registrare. Non dico a tutti i musicisti che possono registrare nel club, dipende dalla relazione tra il musicista e il club, se questa relazione è buona – dal punto di vista musicale, personale e via dicendo – decidiamo di registrare. Ovviamente un disco dal vivo realizzato nel club è importante perché ci rende parte della storia: immagina che tra dieci anni l’A-Trane non esista più, guardandoci indietro, avremmo comunque lasciato la nostra traccia. Ad esempio abbiamo registrato il concerto di Leszek Mo?d?er e Walter Norris. Una serata fantastica, con i due pianoforti accordati insieme e contemporaneamente per trovare l’esatta coincidenza delle note: un lavoro spaventoso (ride… – ndr).
JC: Quali sono i piani dell’A-Trane per i prossimi anni? Progetti che non avete ancora realizzato ma che sono ben saldi nelle vostre intenzioni…
SS: Dobbiamo trovare il modo di dare la giusta attenzione ai jazzisti delle nuove generazioni. Sono musicisti che nessuno conosce oggi, sono agli inizi ma anche quelli che consideriamo i grandi musicisti di oggi hanno avuto il loro punto di partenza. Arrivano moltissimi nuovi musicisti – con i loro progetti, i loro gruppi, la loro musica – e diventa ogni giorno più difficile scegliere da parte nostra e, da parte loro, cominciare la carriera. Ma ho sviluppato un’idea: conosco i grandi del jazz, ho relazioni con loro e posso invitare questi musicisti a presentare i loro studenti o giovani musicisti che stimano. Intendo invitare musicisti come, ad esempio, Brad Mehldau a scegliere un giovane jazzista che si esibisca all’A-Trane e creare, in questo modo, una grande attenzione intorno al giovane musicista che si esibisce con il suo gruppo e porta il suo repertorio. Pubblico, critica e operatori sarebbero sicuramente più concentrati e curiosi, visto il mentore che lo ha portato al club…
JC: Grandi musicisti, quindi, del panorama internazionale, non solo tedeschi ma anche europei e americani…
SS: Si, ho già chiesto loro e il processo è già avviato e stiamo cercando di ottenere anche un sostegno dagli enti pubblici, perché è una buona idea per far crescere nuovi talenti e metterli sotto la luce dei riflettori con la scelta fatta da un grande artista.
JC: E questo farà parte programma “ufficiale” del club?
SS: Assolutamente, sarà nel programma dell’A-Trane…
JC: Leggere “Brad Mehldau introuces … at The A-Trane” è sicuramente un doppio stimolo…
SS: Certo… lui e gli altri grandi artisti coinvolti non saranno qui, ma il loro nome nel cartellone garantiscono una visibilità notevole al gruppo scelto per la serata.
JC: L’ultima domanda è sul posto in cui stiamo registrando l’intervista, vale a dire il Jazz Café: un vero e proprio jazz lounge bar per chi – pubblico, operatori, musicisti – viene all’A-Trane. Un vero e proprio ambiente jazz, con quadri e fotografie di musicisti jazz, musica jazz in sottofondo. Come hai concepito questo spazio? (Il Jazz Café è un bar ristorante situato a un centinaio di metri dal club, aperto tutto il giorno, totalmente separato dal club – ndr)
SS: Tutti i club del mondo hanno un ristorante o un bar all’interno, la maggior parte, e alcuni nella porta accanto. L’A-Trane era uno dei pochi club senza ristorante, senza un meeting point: per la cena, dovevo portare i musicisti nei ristoranti della zona. Come è ovvio, se vengono da fuori, nel contratto è compresa anche la cena e l’albergo. A un certo punto mi sono detto: è tempo che l’A-Trane abbia il suo posto, il suo lounge, il suo meeting point, dove il pubblico del club può venire e mangiare nella stessa sala dei musicisti e poi raggiungere insieme a loro il club dall’altra parte della strada e ascoltare la musica. L’idea era di avere un posto non molto grande e questo è il motivo per cui abbiamo creato il Jazz Café. L’A-Trane apre le sue porte alle 21, per il concerto: fino a quel momento si può venire qui per mangiare, bere un bicchiere di vino e, quando i concerti sono sold-out, li trasmettiamo in diretta sugli schermi che sono presenti all’interno del ristorante. Solo in quel caso naturalmente: quando non possiamo più fare entrare le persone nel club, le invitiamo a venire qui per poter assistere comunque al concerto. Il suono è buono, le immagini sono buone… è in due dimensioni, non in tre (ride – ndr)… Il ristorante è aperto, come ovvio, anche a chi non segue il concerto, ma vuole lasciarsi avvolgere da questa atmosfera jazz.