Slideshow. Flavio Caprera

Foto: la copertina del libro










Slideshow. Flavio Caprera.


L’uscita in questi giorni di un libro importante, soprattutto per i ritmi sincopati tricolori, come il Dizionario del jazz italiano, che non a caso esce anche per un editore importante e prestigioso, conduce inevitabilmente a occupare questa rubrica, Slideshow, solitamente dedicata ai musicisti, con qualche significativa eccezione. E appunto in tal senso Flavio Caprera merita la dovuta attenzione perché con questo nuovo volume, sia pur indirettamente, difende, valorizza, propugna il jazz italiano quale eccellenza culturale di un territorio che mai come oggi non si identifica solo con le bellezze del passato, bensì offre una gamma notevolissima di linguaggi artistici: il sound afroamericano del nostro Paese, declinato con l’originalità nazionale a sua volta prossima ad ambiti sia colti sia popolari, va dunque conosciuto in particolare per quelle decine e decine di artisti che Flavio Caprera nel testo riesce a trattare biograficamente con brillante sintesi e meticolosa dovizia.



Jazz Convention: Così, a bruciapelo chi è Flavio Caprera?


Flavio Caprera: Ho preso lezioni di pianoforte e solfeggio fino all’età di tredici anni. Poi ho smesso. In seguito ho frequentato la “casa-cenacolo” di mio cugino che era direttore d’orchestra – poi scomparso per una grave malattia. Lui mi insegnava come ascoltare la musica, dalla classica al jazz. È stata un’esperienza formativa che mi ha fatto amare la musica alla follia. Questa passione mi ha portato a fare radio, in Puglia, per molti anni e a scrivere su alcuni quotidiani regionali. La passione per il jazz, già allora, era molto forte. In seguito ho trascorso un lungo periodo a New York per “assaporare” direttamente il mondo del jazz e le dinamiche che lo tengono in vita. Trasferitomi a Milano ho cominciato a pensare seriamente a come trasferire su carta questa mia passione. Sono sempre stato attratto dalla divulgazione – ne ho letta tanta soprattutto anglo-sassone – e dalla forza che può avere se in essa si riesce a trasferire la passione e l’amore per quello che si racconta. Così sono nati Jazz (allegato a Panorama), Jazz Music, Jazz 101 e il Dizionario del jazz italiano. Credo fortemente che la divulgazione possa aiutare il jazz ad accrescere in termini di pubblico e comprensione, sfatando i luoghi comuni che lo vedono come un qualcosa, a volte, di incomprensibile e riservato a pochi.



JC: Vuoi parlarci del Dizionario del jazz italiano, magari svelarci qualche aneddoto?


FC: Il libro, il cui progetto risale a cinque anni fa, nasce prendendo in considerazione gli ultimi vent’anni del jazz italiano, e tenendo ben in vista alcuni “mostri sacri” che agiscono o hanno agito fino a ieri. I musicisti sono stati scelti tenendo presente il loro curriculum, l’azione artistica sviluppata nel tempo, la tecnica, l’inventiva, la progettualità, l’innovazione, le idee, nuove, e in ultimo, per dare una panoramica completa sul jazz italiano, l’appartenenza geografica. Gli artisti presenti sono circa 570. In partenza erano un migliaio, ma la tirannia della foliazione, le articolazioni del progetto e il contenimento del prezzo mi hanno indotto a fare una dolorosa selezione e lasciare fuori musicisti bravi e meritevoli di essere rappresentati. E mi scuso con loro se non sono presenti.


JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai del jazz?


FC: Il mio primo impatto con il jazz l’ho avuto a tredici anni quando mio cugino mi ha fatto ascoltare alcuni brani di Duke Ellington e la sua orchestra. Se ricordo bene era il Sacred Concert.


JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a occuparti di jazz?


FC: Solo ed esclusivamente passionali. È una musica che sento mia. Ti fa stare bene, ti apre la mente e ti aiuta nella vita di tutti i giorni. Ti insegna a improvvisare, e ti da delle sensazioni ogni volta diverse anche se ascolti sempre lo stesso brano. Con i mie libri cerco e provo a trasferire le stesse emozioni.


JC: E in particolare come mai occuparsi di jazz italiano con il tuo nuovo libro?


FC: Ho notato che dal punto di vista editoriale non c’era nulla in materia di divulgazione che riguardasse il jazz italiano. Sono partito dal progetto di Jazz Music e l’ho adattato, ampliandolo enormemente, alla realtà italiana. Credo che la forma di dizionario sia, ancora oggi, uno dei mezzi migliori per poter comunicare in maniera diretta e semplice informazioni e nozioni. Rimane più veloce di internet nella fase iniziale di ricerca. Il Dizionario del jazz italiano è la rappresentazione fisica di questa filosofia, chiamiamola così.


JC: Ma, alla fine, cos’è per te il jazz?


FC: È una idea di vita…


JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?


FC: Direi fratellanza, assenza di barriere razziali e geografiche, amore e passione.


JC: Tra i dischi di jazz italiano che hai sentito ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?


FC: Sì, The Pilgrim and the Stars di Enrico Rava e Made in Italy di Franco D’Andrea.


JC: E tra i grandi dischi jazz che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?


FC: A Love Supreme di John Coltrane.


JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?


FC: Nella musica: mio cugino; nella cultura: ogni libro che ho letto; nella vita: le persone che ho incontrato e incontro tutti i giorni e con cui parlo.


JC: E i jazzisti che in assoluto ami di più?


FC: John Coltrane, Duke Ellington, Lester Young, Miles Davis, Charlie Parker, Ornette Coleman, Charles Mingus, Art Ensemble of Chicago, Albert Ayler, Kenny Wheeler, Dave Holland, Steve Coleman, Tomasz Stanko, Bill Frisell, Abdullah Dollar Brand, John Zorn e tanti altri.


JC: Come vedi la situazione del jazz oggi in Italia?


FC: Dal punto di vista musicale e tecnico direi molto interessante. I musicisti che suonano jazz sono tanti e crescono sempre più. Il loro livello tecnico non è inferiore a quello dei loro colleghi europei. Poi ci sono alcuni che sono super partes. Quelle che mancano sono le strutture e le azioni di sostegno.


JC: E l’editoria sul jazz (sulla musica) in Italia come se la passa?


FC: Meglio sarebbe dire: e l’editoria in generale come se la passa? Stando ai dati per nulla bene. Il resto è consequenziale.


JC: E più in generale della cultura in Italia?


FC: Credo che lo stato della cultura sia speculare a quello dell’editoria, che poi alla fine, per molti aspetti, è lo specchio della Nazione…


JC: Cosa stai progettando per l’immediato futuro?


FC: Mi piacerebbe pubblicare la biografia articolata di un importante jazzista italiano.