Foto: Fabio Ciminiera
Premio Internazionale Massimo Urbani 2014
Camerino, Teatro Marchetti – 5/7.6.2014
Dodici finalisti, due concerti, l’esibizione del vincitore, le big band dl territorio ad accompagnare l’aperitivo, una mostra fotografica di Carlo Pieroni e la “carta bianca” affidata a Paolo Vinaccia che ha portato quest’anno sul palco del Teatro Marchetti il trio formato dal batterista insieme ad Arild Andersen e Tommy Smith (al seguente link l’articolo relativo al concerto del trio).
Queste in sintesi le coordinate dell’edizione 2014 del Premio Internazionale Massimo Urbani: un percorso che prosegue nel solco tracciato da Paolo Piangiarelli – deus ex machina dell’etichetta Philology e suscitatore del concorso negli anni immediatamente successivi la morte del sassofonista – e ripreso dall’Associazione Musicamdo, diretta da Daniele Massimi, secondo una modalità che unisce le premesse di partenza del premio, lo sguardo alla tradizione e alle iniziative jazzistiche presenti sul territorio con la necessità di stare al passo con i tempi, far respirare al pubblico nuove istanze espressive e avvicinarlo alla manifestazione e, in generale, all’ascolto del jazz. E così, come accade ormai da diversi anni, i tre giorni del premio sono diventati un luogo per mettere insieme passato, presente e futuro del jazz, tradizioni e novità, volti nuovi e presenze familiari.
E non è un caso se proprio in questa edizione – la diciottesima, a ventun’anni dalla morte di Massimo Urbani, un’edizione-ponte tra esigenze differenti – sia stata aperta dalla proiezione dell'”assolo nella fabbrica” tratto oda documentario, ormai storico, girato da Paolo Colangeli. È la maniera per puntare di nuovo la bussola e farsi guidare dalle proprie radici nel momento in cui si cercano nuove strade. E se si vuole non è un caso che il vincitore quest’anno sia stato Eugenio Macchia (nella foto), pianista pugliese che, pur non rinnegando la tradizione, nei suoi lavori pubblicati per Auand utilizza gli standard come punti di partenza per le proprie evoluzioni stilistiche e non per riproporne una lettura troppo fedele. Massimo Urbani è stato un innovatore, un “battitore libero”, pur muovendosi in massima parte all’interno di un linguaggio tradizionale, pur ponendo i grandi sassofonisti del bebop come riferimento. E anche la presenza nei giorni del concorso di molte delle persone che sono state vicine al sassofonista si pone come una maniera per passare il testimone di una esperienza importante e fondativa ai giovani jazzisti impegnati nel concorso.
I dodici finalisti (i vincitori delle varie categorie sono sulla home page del sito www.premiomassimourbani.com) hanno rivelato come di consueto il valore delle leve emergenti del jazz italiano: una fucina di musicisti in grado di interpretare gli standard della tradizione jazzistica, secondo le proprie inclinazioni stilistiche ed esperienze, secondo le coordinate instillate dall’età anagrafica e dalle collaborazioni già avviate. Accompagnati da una ritmica di altissimo valore come quella formata da Andrea Pozza, Massimo Moriconi e Massimo Manzi, hanno offerto performance nel complesso adeguate alla situazione, anche se non tutti, naturalmente, si sono disimpegnati allo stesso livello. L’esibizione di Eugenio Macchia come vincitore del concorso – concerto svoltosi al Belvedere del Pincetto, nel pomeriggio del terzo giorno del festival con la ritmica che aveva aperto le jam session nel cortile del Teatro Marchetti – ha rappresentato una ulteriore maniera di dare lustro e portare il premio verso un pubblico più ampio.
Al termine delle esibizioni dei finalisti, entrambe le serate sono proseguite con un concerto, in qualche modo legato al concorso. La prima sera si è esibito Fabrizio Bosso insieme a Alberto Marsico e Alessandro Minetto, il progetto che va sotto il nome di Spiritual Trio, mentre per il secondo appuntamento sul palco è salito il chitarrista Daniele Cordisco, vincitore della passata edizione, con il suo quartetto formato da Antonio Capasso al pianoforte, Dario Rosciglione al contrabbasso e Giovanni Campanella alla batteria. Lo Spiritual Trio è l’omaggio tributato da Fabrizio Bosso alle sonorità dell’organ trio: la stessa denominazione rivela come più che al groove, che comunque fa capolino durante il concerto, l’attenzione si mantenga sul gospel, su alcune pagine del blues e, in generale, della canzone afroamericana. Il repertorio diventa così il terreno dove disporre le tante sfaccettature dello stile del trombettista, capace, come pochi altri solisti, di disegnare atmosfere e di esplorare le potenzialità di un brano.
Daniele Cordisco è dotato di uno stile classico, dinamico ed energico. Il suo quartetto – al quale si è aggiunto per un paio di pezzi anche Fabrizio Bosso – interpreta un jazz ben radicato nel solco della tradizione sia nell’esecuzione degli standard che nella proposta degli originali: il dialogo, solido e maturo, tra i musicisti sul palco viene condotto nel corso del concerto con convinta proprietà di linguaggio dal leader. Un’esibizione sicura, rispettosa della tradizione dei grandi maestri della chitarra degli anni’ 50 e, per quanto possa non essere ricca di sorprese o innovazioni, riesce sempre grazie alla determinazione di Cordisco e dei suoi compagni di palco a dare consistenza e spessore agli assolo e all’esecuzione dei temi.
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