Arve Henriksen – Chron + Cosmic Creation

Arve Henriksen - Chron + Cosmic Creation

Rune Grammofon – RCD 2152-2 CD – 2014




Arve Henriksen: trombe, elettroniche, registrazioni ambientali, editing, voce






Attacco decisamente in aliena, estraniante macchinosità, che lascerà intendere una progettualità d’insieme ulteriormente complessa, non fosse per l’ampia estensione temporale delle diciannove tracce del “gemellare” Chron + Cosmic Creation.


A partire dalla dichiarata espoliazione della presenza umana di Proto-Earth, pulsante, terribile e senz’anima, i materiali dilagano poi verso stati di iper-Creazione, enfatica e solennemente pre-umana (Hadean), declinati con risorse elettroacustiche minimali e linguisticamente più rudimentali rispetto ad identificabili forme jazz o pop di sorta.


L’estesa suite, libera ed esplorante, nel suo insieme si palesa lungo un laboratorio idiomatico null’affatto esasperato sul piano della ricerca, portatore di segni ed energie di una cosmogonia cibernetica che trasvola con eteriche formule sul nu-jazz per ricongiungersi non soltanto in spirito alle prime e più metafisiche aspirazioni dell’elettronica pop, recuperando in via anche citazionista gli ardimenti e i tópoi di quella post-accademica e sperimentale.


Riterremmo anche di essere al passo con l’ormai ponderosa rappresentazione discografica dell’alacre Henriksen nel presentare l’incisione dell’anno corrente – non fosse appena annunciata l’imminente neo-uscita a sua firma, nonché le collaborazioni nell’aria e le tracce recenti degli incontri con Nils Økland, Giovanni Di Domenico, Tigran Hamasyan e via ibridando. Certo è che la personale sfera pop e la poetica del trombettista e teorico dei fiordi s’assesta ma non s’arresta dimensionalmente: album tecnico e diversamente orientato rispetto al precedente (o parallelo) Places of Worhip, il duplice Chron+Cosmic Creation avanza lungo traiettorie sperimentalmente in minore, sfrondandosi dalla comfort-zone del feeling ma non rinunciando a plaghe liturgiche affidate anche al lirismo introverso, flautato e contemplativo delle applicazioni d’ottone, con assai misurato ricorso ad artifici formali.


La gamma sui generis delle pulsioni comunicative e delle ispirazioni qui declinate (la dedica a «sorelle e fratelli creati nel medesimo spazio cosmico» è background che conforta e conferma le argomentazioni già esposte) sembra ricongiungersi in quella Mistica mai troppo laica già variamente pregnante nell’opus del nostro, alchenicamente discendente da quello speciale mix culturale e identitario di dimensione umana, natura e peculiare ipertecnologia dell’estremo Nord, mai ignara o distante, nell’istinto poetico e musicale, del suo primo movente e oggetto – l’Uomo.