Graham Collier Music – GMC 2014 – 2014
Geoff Warren: direttore
Graeme Blevins: clarinetto, sax tenore
Steve Waterman: tromba
James Allsopp: clarinetto basso
Mark Bassey: trombone
Art Themen: sax soprano, sax tenore
Andy Grappy: tuba
Roger Dean: pianoforte, electronics
Andy Panayi: flauto alto, sax alto
Martin Shaw: tromba
Ed Speight: chitarra
Jonathan Williams: corno francese
Roy Babbington: contrabbasso
John Marshall: batteria, percussioni
Trevor Tomkins: percussioni
The Blue Suite e Luminosity sono due tra gli ultimi lavori preparati da Graham Collier prima della sua scomparsa nel 2011. Sono due suite dedicate, la prima, a Kind of Blue e, la seconda, alle opere del pittore Hans Hoffmann. La registrazione della musica si inserisce in un’operazione di tributo complessivo al direttore e compositore britannico. Alla musica eseguita da un ensemble ampio e particolare sotto la direzione di Geoff Warren, si unisce un booklet sostanzioso e contenente due saggi scritti da Michael Rabiger e Brian Morton, oltre alla presentazione di John Gill. Completa la confezione, anche se in realtà è la prima ad incontrare l’ascoltatore quando prende in mano il lavoro, la copertina che riporta Blue Monolith di Hans Hoffmann.
Un lavoro articolato secondo arti e media differenti per compiere perciò una operazione vasta sul mondo di Graham Collier. Se molte opere e tracce del compositore si possono ritrovare nel sito Jazz Continuum (www.jazzcontinuum.com), dove si possono vedere i filmati relativi all’esecuzione di The Blue Suite realizzata nel 2009 a Parma nell’ambito delle attività di ParmaFrontiere, sono altrettanti i riferimenti e le connessioni che scaturiscono direttamente dalla lettura del booklet e, naturalmente dall’ascolto della musica. Altri spunti di riflessione sulle opere e sulla figura di Collier, si possono ascoltare nell’intervista realizzata con Geoff Warren nello scorso mese di aprile.
Nel complesso, i brani e le suite proposte mettono, e senza compromessi, la melodia al centro del proprio ragionamento. Il procedimento, come si sottolineava poco sopra, non prevede sconti o disconoscimenti dell’idea originale: ma la forza radicale del disegno non si fa mai inutilmente estrema, l’idea di conduction non sfocia mai in disordine incontrollato, le sezioni “libere” vengono intese, se si vuole, come la creazione collettiva e simultanea di un sostegno utile per il solista o come passaggi di raccordo tra momenti diversi, capaci comunque di mantenere traccia di quanto si va ad unire. In una, si tratta di composizioni strutturate in maniera precisa, anche se non del tutto rigida: garantiscono libertà al solista e margine al direttore, ma mantengono sempre precisa l’impronta di partenza.
L’ensemble è ricalcato su una versione allargata della Tuba Band con cui Gil Evans, Miles Davis, Gerry Mulligan e John Lewis più che guardare al canone delle tradizionali sezioni di una big band. Al nonetto con tuba e corno francese, si aggiungono chitarra, elettronica e percussioni e viene aumentato il numero degli ottoni. E la tavolozza sonora e timbrica rimanda a quell’esperienza, una visione filtrata naturalmente dagli oltre sessant’anni trascorsi dalle registrazioni di Birth of the cool. E nelle due suites ritroviamo una rilettura enciclopedica dell’intera storia del jazz: una consapevole e precisa manipolazione di elementi differenti, utilizzati per dare corpo e spessore alla scrittura, alla riflessione innescata su Kind of Blue e sulla composizione jazz in generale. Nei vari passaggi ritroviamo Miles Davis e Ornette Coleman, Charles Mingus e Duke Ellington, George Gershwin e il musical, le stagioni del bebop e dello swing, le tante manifestazioni della modernità, senza dimenticare gli accenni a certe pagine del progressive e della Scena di Canterbury: una sorta di trattato in forma musicale, dove gli elementi presi in considerazione diventano tutti parte del ragionamento innescato da Collier, prima, e da Warren, in seguito, su Kind of Blue e sulle opere di Hoffmann.
Se Luminosity, la serie di composizioni dedicate ai dipinti, può essere pensato secondo la dinamica immaginifica delle sensazioni provocate dall’opera e riportate in musica, più delicato è invece il “rapporto di parentela” tra Kind of Blue e The Blue Suite. Come dice lo stesso Warren nell’intervista, dopo oltre cinquant’anni possiamo utilizzare quel materiale come punto di partenza, assodato e digerito nelle orecchie e nelle menti di ascoltatori, appassionati, musicisti e compositori per far scaturire il ragionamento verso nuove direzioni. E, in effetti, se si rimane alla superficie sono tenui ed episodici i legami con la partitura originale, sono forse più presenti certi agganci ai lavori orchestrali che Davis ha registrato negli stessi anni con Gil Evans: all’interno delle singole tracce, facendosi guidare dai titoli dei segmenti della suite – All Kinds, Kind of Freddie, Kind of Green, Kind of Sketchy, Kind of So What – si può anche trovare qualche traccia della successione di nessi che hanno costituito il cammino di Collier, ma non è lì il punto. La vera ragione, come era stato nel caso di Eggun di Omar Sosa, è la scelta di mettere le mani su un capolavoro e su un fondamento storico del jazz moderno per capire come usando attrezzi analoghi e una prospettiva per forza di cose diversa si possa partire alla ricerca di nuove soluzioni, vedere come reagiscono con la matrice di partenza e con tutto quello che si imparato nel corso dei cinque decenni passati e provare una specie di corto circuito tra motivazioni e risultati.
Una ulteriore e conclusiva considerazione viene dalla scelta dei musicisti, effettuata in massima parte, come ricorda Warren nell’intervista, tra le persone che hanno collaborato negli anni con Collier. E quindi oltre a Warren, in questo caso solo nel ruolo di direttore, abbiamo una ritmica di chiara matrice canterburiana, formata da Roy Babbington e John Marshall, componenti rispettivamente di Soft Machine e Nucleus, e un panorama vasto della scena jazz britannica secondo generazioni e percorsi artistici anche differenti tra loro ad allargare ulteriore lo spettro, già di per sé onnicomprensivo, dell’operazione.