Foto: la copertina del libro
Carola De Scipio: Massimo Urbani, L’avanguardia è nei sentimenti
Arcana Jazz, 2014
Molto opportunamente Arcana ha ripubblicato questo bel libro di Carola De Scipio, ampliato, rispetto alla prima edizione del 1999, con foto di Roberto Masotti, con una preziosa discografia curata da Roberto Arcuri e con le testimonianze di Carlo Atti e Gaetano Liguori.
L’avanguardia è nei sentimenti non è una biografia organica di Massimo Urbani, né tantomeno un saggio critico sulla sua musica. E’ piuttosto un ritratto collettivo del sassofonista romano disegnato con le testimonianze di amici, musicisti e non, e familiari.
«Mi piacerebbe – ha scritto l’autrice – che, leggendolo, si avesse l’impressione di aver acceso un microfono in mezzo a loro, registrando una spontanea jam session.» Fra le voci presenti, quelle dei musicisti di jazz italiani emergono con il loro coraggio in mezzo a mille contraddizioni e situazioni avverse alla loro professione.
Occorre dire che il risultato finale è perfettamente in linea con tali intenzioni. Il libro è un’opera letteraria singolare e coinvolgente. I singoli partecipanti alla session (Fra i tanti Enrico Rava, Giorgio Gaslini, Maurizio Gianmarco, Enrico Pierannunzi, Paolo Piangiarelli, Franco D’Andrea) non si esprimono in singoli capitoli a loro dedicati. I contributi si susseguono invece senza, apparentemente, un ordine preciso, organizzati solo in una sequenza di capitoli tematici. Gli interventi sono brevi, a volte di una o due righe. Il loro montaggio è però quasi perfetto. Alla lettura il libro è quindi densissimo ma anche agevole. Mai ripetitivo. Sempre appassionante, talora commovente.
Ogni singolo personaggio che partecipa alla testimonianza corale mantiene la sua precisa personalità, la sua voce. Nonostante questo la scrittura finale mantiene (non era facile) coerenza e compattezza e non fa registrare cadute d’interesse.
Alla fine il lettore si ritrova davanti al ritratto di quello che fu un grande musicista, ma anche un uomo fragile e contraddittorio, furente e indifeso. Un genio sul quale non si poteva fare affidamento, una persona mai in grado di programmare o gestire una qualsiasi idea di futuro. Ma essendo stato scritto “dall’interno” del mondo del jazz il libro non scade mai nella retorica dell’artista maledetto, del jazz man autodistruttivo. Contiene invece molte e preziose informazioni sulla formazione dell’artista romano, sulle tante esperienze jazzistiche che lo influenzarono, sulla sua vitalità.
Se un appunto si può fare all’autrice, è solo quello di non aver approfondito i rapporti, non sempre facili, fra Urbani e la critica. In uno dei suoi interventi Mauro Verrone, ad esempio, cita una sua polemica con Marcello Piras che aveva scritto un ricordo non entusiastico del sassofonista romano. Sarebbe stato forse opportuno un maggior approfondimento di questa parte della vicenda di Massimo. Fu veramente capita la sua grandezza, quando era in vita? O la sua fama è legata al suo lato oscuro, tanto simile a quello di Baird o altri grandi jazzisti?
È un rilievo questo che non toglie alcun valore al volume che resterà come base insostituibile per chi in futuro vorrà approfondire la vicenda musicale e umana di un grande protagonista del jazz italiano.