Massimo Barbiero. Musica per riflettere sulle vicende umane

Foto: Luca D’Agostino










Massimo Barbiero. Musica per riflettere sulle vicende umane.


Si chiama Pietas l’ultimo disco di Enten Eller, forse il gruppo più longevo della storia del jazz italiano. Il loro primo lavoro uscì infatti nel 1987. Della vecchia formazione, restano solo il leader e percussionista Massimo Barbiero ed il chitarrista Maurizio Brunod. Il contrabbassista Giovanni Maier ed il trombettista Alberto Mandarini si sono aggiunti in periodi successivi. Il gruppo ha ospitato più di una volta grandi nomi della scena jazzistica come Tim Berne. In Pietas come nel precedente Ecuba, suona anche il sassofonista argentino Javier Girotto.


Jazz Convention: In questi quasi tre decenni, Enten Eller ha raccolto sempre grandi consensi critici pur rimanendo defilato rispetto al circuito dei festival. Qual è il bilancio di questa lunga vicenda e quali sono le prospettive per il futuro.


Massimo Barbiero: I tempi sono veramente grami, difficili. Non solo in termini economici. Muoversi sui territori della ricerca artistica è oggi, in Italia, percorrere un sentiero stretto ed insidioso. L’idea prevalente, quella ufficiale, del jazz è sostanzialmente quella di una musica di raffinato intrattenimento. Un vezzo innocuo per un pubblico ed una critica che non hanno più tanta voglia di mettersi in gioco e di rischiare. Il jazz è per tanti la musica di sottofondo di un tintinnar di bicchieri, un evento mondano, un occasione per “esserci”. Ci stiamo adagiando su un fondale tranquillo, cristallino, senza pericoli. Sembra che far musica sia diventato eseguire un compito sulle armonie e sulle strutture ritmiche. Naturalmente occorre suonare bene e conoscere la teoria musicale ma io credo che non basti. Per me la musica è anche ricerca interiore, narrazione, scavo delle proprie risorse emotive. Il problema non sta nel rispettare o superare la tradizione. Nessuno di noi è cresciuto nel ghetto di una metropoli nord americana. Io adoro Max Roach e Art Blakey e tutti i grandi batteristi della storia del jazz, ma sono cresciuto ascoltando i Genesis e il rock progressive. Stravinskij e la musica contemporanea mi sono necessari quanto Miles Davis o Fabrizio De André. O le percussioni africane e giapponesi. Non si tratta di fondere tutte queste esperienze in termini di linguaggi musicali. Di collages sonori se ne sentono fin troppi. Il problema è una rielaborazione personale di tutte queste stratificazioni della memoria. Si deve suonare non per essere fedeli a qualcuno, non per mostrare al pubblico il ventaglio delle proprie conoscenze. Se la musica non nasce da esigenze artistiche ed umane forti rimane solo un esercizio di stile.


Jazz Convention: Nei tuoi lavori con Enten Eller, ma anche con il gruppo percussivo Odwalla fai largo uso di altre esperienze artistiche come poesia, canto e danza. Molti titoli dei tuoi dischi sono ispirati alla mitologia o alla letteratura. Lo stesso nome del gruppo è ispirato all’opera di Kierkegaard.


Massimo Barbiero: Vero. La musica per me è parte di una ricerca esistenziale, di un lavoro di riflessione sulla vicenda umana. Sogno, e cerco di praticare, un’arte che sia frutto delle mille contraddizioni delle nostre esistenze. Che racconti. L’arte, in qualche maniera, è sempre critica e in qualche maniera è sempre il riflesso, più o meno fedele della società in cui si vive. E’ condivisione di sogni, di solitudini, di entusiasmi, di ricerche faticose. Anche dolorose, talvolta. È proporre ad altri il tuo paesaggio interiore e quello di chi è con te in quel momento. Certo in Italia sono in questo momento tanti bravissimi musicisti. Io non sono di quelli che contestano a Paolo Fresu o Enrico Rava una sorta di sovraesposizione nei cartelloni. Sono grandi musicisti che hanno trovato, in anni di faticosa ricerca, un loro linguaggio, una loro cifra stilistica precisa. Meritano il loro successo. È il loro modello che è fin troppo imitato. Il problema non sono i grandi musicisti, ma i loro epigoni tardivi. Sono loro che rischiano di cristallizzare la ricerca jazzistica, di soffocarla in un bozzolo. Insieme a loro opera una critica superficiale e succube delle mode, per non parlare di organizzatori timorosi. La tradizione, quella definita dal verbo di Winton Marsalis, è un comodo pretesto per non tentare il nuovo.


Jazz Convention: Il disco precedente di Enten Eller, Ex(s)tinzione, nasceva da una riflessione sulla fine delle grandi fabbriche italiane. Nel disco c’era anche un ricco materiale fotografico sulle macerie della Olivetti di Ivrea, la tua città natale. Una riflessione che attiene anche alla tua biografia personale.


Massimo Barbiero: Ho lavorato per anni in quella azienda e sono stato anche delegato FIOM. In quel disco volevamo raccontare, con musica parole ed immagini, l’enorme spreco di risorse economiche, umane e di sapere che si perpetra da anni in questo paese. Il sogno di Adriano Olivetti è, letteralmente, soffocato dall’erbaccia. Stiamo gettando via il lavoro e le conquiste delle generazioni che ci hanno preceduto. Oggi ad Ivrea non c’è più nulla, se non un vuoto desolante ed una sconfitta intellettuale. Forse non solo ad Ivrea. Stiamo tardivamente imitando i modelli statunitensi. La musica di ricerca è in fin dei conti un piccolo specchio delle sventure di questo paese. Non so se siamo alla deriva. Di certo stiamo navigando a vista verso orizzonti del tutto precari sulla scia di un occidente che sembra avviato al declino.