Simone Faliva – Trapani-Pechino

Simone Faliva - Trapani-Pechino

Believe – 2014




Simone Faliva: composizione, elettronica, strumenti vari





Dopo l’interlocutorio Bertibello, il precedente disco che puntava ad una rivisitazione anche troppo letterale del sound dell’organ trio degli anni sessanta-settanta, Simone Faliva ritorna alle atmosfere tipiche dei suoi dischi precedenti, confezionando un’opera colma di invenzioni elettroacustiche, di voci campionate e filtrate in un patchwork movimentato di generi dissimili appaiati, di rumori molesti e di suoni dolci e incantati. Insomma si riconosce in questo cd il tipico modo di lavorare, di trattare la materia sonora da parte dell’artista padovano. Il disco, infatti, è traboccante di pensieri, di intuizioni e sembra che Faliva li voglia far confluire tutti quanti all’interno delle tracce, costringendoli dentro a forza, quando sembra che il contenitore digitale non li possa ospitare convenientemente.


Partiamo dal titolo: Trapani-Pechino rappresenta una strada immaginaria e impossibile da percorrere in linea retta, una direttrice della fantasia per mettere in comunicazione Mediterraneo e estremo Oriente. La cover, poi, è al solito molto curata e presenta un ritorno al disegno realistico, dopo il ricorso ai colori puri e violenti di Bertibello e alle forme stilizzate o astratte delle precedenti copertine.


I brani, poi, sono denominati in maniera alquanto singolare, congiungendo, a volte, la citazione dotta e il motto popolaresco. Emblematico in tal senso è Imeropa la topa, dove si accosta il nome di un personaggio mitologico di sirena ad un attributo tratto pari pari dal linguaggio figurato e volgare. Ma anche il titolo degli altri pezzi brilla per originalità e spazia dal latino maccheronico al francese, o è frutto di giochi linguistici in cui intervengono termini dialettali specifici, come “il ghisa”, il vigile urbano per i milanesi.


La musica è prodotta integralmente dal compositore veneto e, come consuetudine, non riserva punti di riferimento certi per chi ascolta. Si passa da sequenze elettroniche tese a ripetere suoni ambientali naturali a brevi intermezzi di archi a ricordare, forse, l’impossibilità di creare nuove sinfonie. Compare, a un certo punto, un coro infantile e più avanti la pulsazione regolare e violenta della techno-music. Un pianoforte impazzito, spinto ad alta velocità, apre Ad locutio loricato e gli arpeggi educati di una chitarra elettrica pop chiudono Secunda semen invocazio.


Come non rimanere stupiti di fronte ad una giga, alla ripresa di una danza folk alternata, successivamente. ad una coltre spessa di tumulti creati al computer? In mezzo a questo caos voluto e organizzato si sentono recitativi con qualche ambizione testuale, spesso soffocati da tutto quello che succede contemporaneamente attorno. Sono voci in italiano, francese, inglese in certi casi con un tono predicatorio e vagamente apocalittico. Alcune frasi particolarmente significative fra le altre appaiono: «Come si fa a condannare un ladro, se chi governa è lui stesso un ladro?», oppure un interrogativo fra il surreale e il quotidiano «Lei non va mai dal barbiere?». In altre tracce si avverte chiaramente il residuo attivo della lezione di Carmelo Bene, la parola che è, si fa, essa stessa musica.


Insomma, Simone Faliva si dimostra, anche in questa occasione, artista a tutto tondo o a 360 gradi, secondo modi di dire fin troppo abusati. E’ un portatore sano di idee divergenti e discordanti.


Non tutto, in verità, funziona alla perfezione. Ci sono trovate folgoranti, come ne In barba al ghisa, un brano strutturato sul clacson della Giulietta sprint di Gassman nel film Il sorpasso e altri passaggi meno convincenti. Ad ogni buon conto, Trapani-Pechino è un’avventura sonora da affrontare senza esitazioni, principalmente perchè non c’è mai niente di acquisito o di scontato come, ad esempio, nei film di Godard o di Alain Resnais degli anni settanta, tanto per tirare su l’asticella e tentare un paragone con dei maestri del cinema d’avanguardia.