Roccella Jazz Festival 2014

Foto: Gianmichele Taormina










Roccella Jazz Festival Rumori Mediterranei XXXIV Edizione: “El Yaz Y Paco”

Roccella Jonica – 22/23.8.2014


Chi, come tanti appassionati di Roccella Jazz, aveva preventivato ferie programmate, spostamenti più o meno distanti, progettato di prenotare stanze in alberghi o in case vacanze dall’11 al 23 agosto per assistere a tredici giorni di buona musica ha quest’anno, dovuto fare tristemente marcia indietro.


Rumori Mediterranei, uno tra i più grandi festival della nostra penisola è stato infatti falcidiato da una serie di eventi che lo hanno portato ad annullare completamente la manifestazione, salvo poi essere stata recuperata in extremis grazie al provvidenziale intervento del comune di Roccella Jonica, giusto in tempo per le serate conclusive del 22 e del 23.


Non staremo di certo qui a raccontare le problematiche vicende burocratiche che da anni attanagliano la sopravvivenza di un cartellone storico e diremmo memorabile. Contributi mai arrivati a destinazione, voli aerei annullati, contratti rescissi…


Dall’alto degli enti patrocinanti si è notata poi scarsa attenzione e poco cuore nei confronti di una kermesse che tanto ha dato alla Calabria e all’Italia, certamente nel versante turistico e di attrattiva culturale ma non purtroppo, in termini di attenzione amministrativa.


In attesa di un possibile recupero invernale di questa trentaquattresima edizione ci soffermiamo sui cinque concerti in programma svoltisi presso il Teatro al Castello.


Dave Holland, generosissimo e da sempre “maestro gentiluomo”, ha assunto il compito di aprire il breve cartellone, esibendosi in splendida solitudine senza far desiderare altri innesti strumentali. Holland è un raconteur sopraffino, così nei suoi quarantasei minuti di concerto semplice per lui è stato narrare le proprie vicende artistiche e di altri illustri colleghi delle quattro corde (e non). L’apertura della scaletta è stata affidata a Homecoming, celebre composizione del contrabbassista di Wolverhampton, inserita ciclicamente all’interno di dischi storici come Seeds Of Time o, nel ritorno discografico dei Gateway, vent’anni dopo il debutto. Composizione del 1979, assai poco battuta è invece Little Girl I’ll Miss You di Bunky Green, anche questa inserita spesso nel lirico songbook hollandiano. Omaggio al contemporaneo Glen Moore è stata poi l’interpretazione di Three Step Dance, dal piglio ritmicamente marcato ma arricchita dal solismo identificativo di Holland. E se nella melodia ciondolante ed epica di Goodbye Pork Pie Hat, scaturita dalla magica penna di Charles Mingus (con firma e dedica in calce a Lester Young), è in Mr. PC di John Coltrane che il contrabbassista inglese ha sfoggiato grinta e verve inarrivabile con, inclusa, la splendida citazione al tema di A Love Supreme.


Altre storie titaniche, altri voli da volare e vette da scalare sono stati al centro del concerto di Chico Freeman con, al pianoforte Antonio Faraò, Heiri Kaenzig al contrabbasso e l’inarrestabile Michael Baker alla batteria. “The Elvin Jones Project”, titolo del programma presentato, in realtà è stato solo un pretesto per esporre il post hard bop di Freeman del quale è stato uno dei rappresentanti più fulgidi durante l’indimenticabile ascesa di The Leaders. Diversamente da quella, la proposta roccellese è stata più una miscellanea forbita di composizioni, quasi tutte originali, dove il sassofonista chicagoano ha dimostrato (soprattutto al tenore), il suo amore e la propria esatta provenienza fiolologica (più che da Coltrane o da Ayler), da una diretta discendenza rollinsiana. Poco comunicativo al microfono, decisamente ingrassato, Freeman ha comunque grande carisma e sa dimostrare libertà e coerenza verso i propri compagni di viaggio. Faraò è deciso e diamantino nei suoi interventi strepitosi, seguito a ruota da Baker, drummer certamente debitore della lezione di Elvin. Bel concerto dunque anche se lontano dai passati fasti trascorsi insieme a Lester Bowie, Cecil McBee, Arthur Blythe e Kirk Lightsey.


Diverte e incanta la carovana spaziale della Sun Ra Arkestra diretta da Marshall Allen, il quale ha spento novanta candeline proprio sul palco di Roccella nello stesso anno in cui Sun Ra ne avrebbe compiuti cento. Di rosso vestito con copricapo da garibaldino, Allen ha messo in scena tutto lo swingbook possibile della Arkestra includendo blues e ballad incantevoli (brava in queste occasioni la vocalist Tara Middleton). Il resto dello spettacolo comprendeva diverse camminate in stile libero a mò di marching band, attraversando il pubblico del teatro al castello, qualche capriola e mosse di danza movimentate dal fiatista Knoel Scott e il colpo d’occhio luccicante dei vestiti indossati dagli undici componenti della big band. Impossibile sarebbe stato ricreare e “vendere” le atmosfere free ipnotiche sprigionate ai tempi dell’anziano leader, scomparso nel 1993. Ma i vecchietti e giovinotti esibitisi sul palco sono piaciuti lo stesso, lasciando col sorriso sulle labbra il divertito pubblico di Rumori.


Segnaliamo infine i restanti altri due appuntamenti delle serate a Roccella. La prima è stata rappresentata dal concerto di Sofia Rei, cantante argentina trasferitasi a New York per collaborare in diversi progetti guidati da John Zorn. Folk e medierraneità, ritmi latini trascinanti, ma anche sonorità antiche, hanno scolpito un concerto intimo e gustoso, semplice ma corroborato da una distintiva e interessante veste talvolta cantautoriale.


La seconda è stata l’esibizione corale di Iberjazz con José Luis Gutiérrez ai sassofoni e flauto, Pedro Medina alla chitarra, Marco Niemietz al contrabbasso e Lar Legido alla batteria. Flamenco con antiche venature cantabili, strutture favolistiche, poesia proveniente dai vari sud del mondo hanno tracimato dal sound originale della formazione madrilegna, offrendo molta scena teatrale soprattutto alla vista dei giocattoli e ammenicoli vari del batterista il quale mai si distaccava dal suo sorriso fanciullesco. Sorprendente come quello di un bambino che meravigliato scopriva la musica per la prima volta.