Telarc – TEL 35307-02 – 2014
Hiromi: pianoforte, tastiere
Anthony Jackson: chitarra contrabbasso
Simon Phillips: batteria
Epica, senza esagerare, e densamente scultorea è l’entrata in scena ed in azione della (quanto meno) corposa anima ritmica dello Hiromi Trio Project – ma non basta un così possente e massivo flusso ad alleviare la titolare dal martellante lavorìo della sua mano sinistra, così come la controlaterale non cessa d’incitare con le sue figurazioni solistiche un’animata macchina di belligeranza sonora.
Estimatori di varie caratura e argomentazione, cui andrà riconosciuta pregiudiziale e schietta buona fede, esaltano l’inesauribile frenesia espressiva che febbrilmente permea il personale stile della pianista, di cui sarà però legittimo chiedersi quanto sia destinato alla dimensione introspettiva e al raccoglimento: sfrondato dalle tumultuose plastiche ritmiche, sovente di logica rockeggiante, e intrise del più catturante colore della fusion, un momento di riflessione annunciata quale Firefly, cui si perviene dopo un concitato galoppo, inesausto ma di poche sorprese, è isola sì privata, ma che poco allenta delle correnti dinamiche che pervadono le movimentate progressioni dell’album.
Enucleare, eviscerare la componente ludica e, necessariamente, la dimensione esteriore, meccanicista dell’arte di Hiromi Uehara sarebbe una mutilazione all’ormai definita verve comunicativa della stessa: il guerresco set percussivo di Simon Phillips, di elevata irruenza, ma dalle soluzioni per lo più prevedibili, il multicorde contrabbasso elettrico di Anthony Jackson, che non raramente recupera la sua anima in parte chitarristica e del primo non è che calorosa dilatazione, completano le irruenti esigenze della leader che raramente depone le proprie pulsioni energetiche, elementi ineludibilmente fondativi della forsennata caratterialità e del dilagante pianismo, di cui riesce improbo cogliere l’anima privata .
Elettricità espositiva s’impone dominante tra i primari elementi estetici delle scelte di un estrovertito personaggio, che ha già ricevuto le attenzioni di firme, sia pur differenti, quali Chick Corea o Ahmad Jamal, pur permanendo nella convinzione radicata di come tutta una musicalità possa vivere e sussistere nelle sue dimensioni formali: idea da non rigettare se non si ricerca oltre la fruizione epidermica e d’istante – magari non è così che funziona da un’altra – e più esigente – parte del mondo (in ascolto).