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Dossier George Gershwin
Parte Prima
Quest’anno, per George Gershwin (1898-1937) si celebra un triplo anniversario: cent’anni, nel 1914, appena sedicenne, il giovane debutta come pianista per orchestra per le edizioni Rernick, dove conosce un certo Frederick Austerlitz, che gli rimarrà amico tutta la vita, cambiando più tardi, come fa lo stesso Georg Gershowitz, il proprio nome e cognome tedesco Fred Astaire diventando il pendant, nella danza, della genialità gershwiniana. Novant’anni fa debutta la Rhapsodiy In Blue, destinata a diventare un classico della letteratura musicale novecentesca, in uno anno particolarmente prolifico per il compositore, di cui va segnalato almeno il musical Lady Be Good! con Fascinating Rhythm quale brano di enorme successo. E ottant’anni Gershwin fa inizia a scrivere il lavoro più impegnativo, il melodramma Porgy And Bess. Di questo e altro si parla con Letizia Ragazzini, Gian Nissola e lo stesso George Gershwin in una “intervista” che è da ritenersi “assolutamente inedita”.
Il Gershwin Quintet: un “esperimento italiano”
A tu per tu con Letizia Ragazzini
È nel settembre 2008 che nasce in Letizia l’idea di creare un progetto stabile tutto al femminile, unendo la sonorità del quartetto di sassofoni a quella del pianoforte. Tramite il Maestro Federico Mondelci, sassofonista concertista di fama mondiale, la Ragazzini conosce la pianista Giulia Cester, la quale è in quel momento alla ricerca di una formazione con cui riproporre la Rhapsody In Blue di Gershwin, brano con il quale la stessa pianista fa il debutto, giovanissima, da solista con l’orchestra. Alchimia perfetta, gioco fatto! Il Gershwin Quintet è composto da musiciste provenienti da tutt’Italia: alla tastiera Cester da Ancona, al sax contralto Mariella Donnaloia da Brindisi, al sax tenore Isabella Fabbri da Milano, al sax baritono Laura Rocchegiani da Pesaro e Letizia al sax soprano da Imola.
Jazz Convention: Letizia, ci puoi parlare del vostro Gershwin? Cos’ha finora svolto in ambito musicale?
Letizia Ragazzini: Parlo del Gershwin Quintet con grandissimo piacere! Dal 2008 ad oggi il nostro gruppo si è esibito in numerosissime rassegne musicali e ha autoprodotto il cd Oh, Ladies Be Good!, con musiche di Gershwin, Pedro Iturralde e Leonard Bernstein. Il disco, sponsorizzato dalla Fondazione FIDAPA, è stato presentato ufficialmente nell’ambito della rassegna Sensi d’Estate del Museo Tattile Statale Omero di Ancona. Un capitolo importante del nostro lavoro riguarda la ricerca del repertorio: in principio ci siamo dedicate alle composizioni già esistenti per questa rara formazione ma, essendo poche, abbiamo allo stesso tempo intrapreso un importante percorso di ampliamento del repertorio attraverso la realizzazione di trascrizioni e arrangiamenti da noi curati o da noi commissionati. Siamo dedicatarie di brani originali opera dei compositori Paolo Carlomé e Mauro Saleri.
JC: Perché, nella scelta del nome proprio Gershwin? Cosa rappresenta per te?
LR: Gershwin è l’autore che ci ha fatte incontrare! Alla prima prova abbiamo eseguito la Rapsodia in Blu nella versione arrangiata dal pianista Paolo Zannini, che avevamo sentito in concerto con l’Ensemble Italiano di Saxofoni. Siamo tutte musiciste di formazione classica pluri-diplomate in Conservatorio, ma fin dall’inizio abbiamo intrapreso lo studio di brani provenienti da altri generi musicali. Gershwin è il compositore che più eseguiamo forse perché la sua musica racchiude tanti stili diversi ed è l’autore che più ci rappresenta e si avvicina alla nostra sonorità. Per questo abbiamo deciso di dedicare il nostro gruppo a lui. È il filo rosso che ci tiene unite.
JC: Un gruppo tutto di donne, ma c’è un’identità femminile nella musica? E nel suonare Gershwin?
LR: L’esperienza di ognuna di noi con altre formazioni ci ha portato a credere che tra donne ci sia un interplay diverso, un feeling speciale! Sicuramente nel suonare Gershwin questo incide. Lui stesso affermava: «Per me il feeling ha più importanza di qualsiasi altra qualità. Credo sia proprio esso a determinare il risultato di qualsiasi prova artistica. Significa più che non la tecnica o le nozioni acquisite, dato che entrambe senza feeling non contano nulla.
JC: Siete una formazione anomala sia per il jazz sia per la classica. Come affronti il repertorio gershwiniano anch’esso a metà fra jazz, classica e popolare?
LR: Effettivamente la nostra formazione è abbastanza originale ed è al momento l’unica, di questo tipo, stabile in Italia. Gershwin ci permette di esprimere al meglio la nostra musicalità, il modo più naturale per far incontrare i nostri strumenti e la loro storia. Gershwin è il primo compositore che ha saputo avvicinare due linguaggi così diversi come quello del sinfonismo e quello del jazz, per unirli in un impasto nuovo, moderno. Il nostro approccio è lo stesso.
JC: Quindi cosa succede?
LR: Il quintetto unisce il pianoforte (protagonista indiscusso della tradizione colta e romantica) e il sax (nato in Europa e successivamente divenuto lo strumento simbolo del jazz in America), strumenti che per eccellenza raccolgono in una tavolozza tutte le nuances della musica colta e popolare. Viviamo questa musica in un continuo dialogo tra influenze colte e influenze popolari, dando grande spazio all’espressività emotiva dei temi: Gershwin descrive la musica come la “scienza delle emozioni”. Amiamo proporre la Rapsodia in blu e il Concerto in Fa in cui il pianoforte solista dialoga con l’orchestra che ben si riassume nelle sonorità del quartetto di saxofoni. La maggior parte degli arrangiamenti sono pensati però per quintetto cameristico, cercando il più possibile gli amalgamare i cinque strumenti.
JC: Nel primo album perché avete scelto proprio la Rhapsody In Blue per rappresentare Gershwin?
LR: La Rapsodia in blu la consideriamo lo start up di questo progetto così ambizioso sotto tanti punti di vista: la ricerca di colleghe con cui condividere un’idea da un lato, la difficoltà e dunque la libertà nel trovare o commissionare nuovo repertorio dall’altro. Questo brano sicuramente non poteva mancare nel primo cd. D’altra parte la Rapsodia in blu è un must di Gershwin, simbolo del suo essere brillante, entusiasta: un carattere goliardico e ispirato incorniciato in classica forma di rapsodia, ben rappresentato dai timbri dei legni e dalla percussione del pianoforte.
JC: A breve uscirà un vostro CD tutto su Gershwin. Ce ne parli? Ci spieghi come avete interpretato ogni brano?
LR: Con il nostro ultimo lavoro discografico A Starway To Paradise, prodotto da Digressione Music, abbiamo voluto dar voce alla poliedricità del repertorio gershwiniano affiancando al Concerto in Fa, originariamente composto per pianoforte e orchestra e arrangiato per il nostro quintetto da Silvestro Sabatelli e Danilo Comitini, sei fra le più affascinanti e famose song di Gershwin: Embraceable You, Oh, Lady Be Good!, I Got Rhythm, Fascinating Rhythm, ‘S Wonderful e la title track I’ll Build A Starway to Paradise.
JC: Che tipo di approccio avete avuto tra il concerto e le canzoni?
LR: Se nel commissionare l’arrangiamento del Concerto in Fa abbiamo richiesto una versione che fosse il più fedele possibile a quella originale, rievocando l’ambizione di Gershwin di affermarsi e nobilitarsi nella musica colta proprio attraverso la composizione della forma musicale del concerto che più di tutte caratterizza la tradizione colta europea, nelle songs invece abbiamo voluto dare omaggio al Gershwin di Tin Pan Alley, offrendo un’interpretazione più personale dei brani e tenendo comunque vive alcune loro peculiarità originarie, quali ad esempio la presenza della voce ed alcune citazioni delle improvvisazioni che Gershwin stesso proponeva al pianoforte.
JC: E il vostro intento con questo nuovo CD?
LR: È stato quello di evidenziare, attraverso una stretta collaborazione con gli arrangiatori Francesco Colocci e Laura Rocchegiani, l’atmosfera da musical, creando in alcune song uno spazio musicale che potesse ospitare un intreccio fra parti cantate e recitate mettendo in risalto l’ironia dei fratelli Gershwin, nel testo e nella musica. A Starway To Paradise è un CD che rappresenta anche la nostra voglia di allacciare nuove collaborazioni artistiche e a tal proposito ringraziamo l’etichetta Digressione Music che ha permesso il nostro incontro con Federica D’Agostino e Raffaello Tullo.
JC: Che ne pensi tu personalmente di Porgy And Bess? ne farai mai una versione strumentale, con il Gershwin Quintet, come han fatto Miles Davis e – cinquant’anni anni dopo – Paolo Fresu?
LR: Porgy And Bess è indubbiamente un grande capolavoro di George Gershwin, facente parte di uno tra i progetti più ambiziosi del compositore, quello di creare un’opera lirica jazz. In questo lavoro Gershwin sprigiona un’intensa e immediata carica espressiva, sempre alla ricerca di una sintesi tra la musica occidentale e la musica afroamericana, tra la rigidità delle forme e l’improvvisazione, nell’ottica di superare la distinzione tra arte colta e arte popolare, messaggio quest’ultimo che concretizziamo a pieno in questo progetto musicale. Il brano più conosciuto dell’opera, Summertime, è da tempo nel nostro repertorio in una versione strumentale dove largo spazio è lasciato anche all’improvvisazione. La versione completa è ovviamente nella lista dei desideri del gruppo! Confrontarsi con dei grandi artisti quali Miles Davis e Paolo Fresu sarebbe poi il giusto stimolo per portare qualcosa di nuovo.
JC: Secondo te, cosa c’è di “eterno” e invece di “attuale” oggi nella musica di Gershwin?
LR: Probabilmente la musica di Gershwin è al tempo stesso eterna ed attuale nel momento in cui è una musica in continua evoluzione, per quanto fortemente caratterizzata dal suo presente, dall’ hic et nunc del suo vissuto. Gershwin stesso dice: «Il mio popolo è quello americano, il mio tempo è oggi». La sua musica è fortemente descrittiva, specchio della società in cui Gershwin viveva, a tratti addirittura onomatopeutica dell’era della macchina (si pensi per esempio ai cluster dell’Americano a Parigi che richiamano il rumore del traffico urbano). Mentre Gershwin condannava, erroneamente, la “precoce mortalità” delle canzoni, Charles Hamm scriveva: «L’industria di Tin Pan Alley non si è basata su una tradizione musicale, ma ha creato la tradizione musicale».
JC: Per concludere?
LR: Gershwin ha aperto una strada nuova nella storia della musica, coniugando i vari linguaggi del Novecento, mescolando la rigidità di forme stabilite all’imprevedibilità spontanea del feeling esecutivo. L’impossibilità di poter classificare le sue composizioni dandogli un’etichetta di genere e la magnifica opportunità negli spazi di improvvisazione di aggiungere qualcosa di proprio, rende a mio avviso attuale, plausibile e innovativa, ogni interpretazione della sua musica.