Slideshow. Alessandro Nobile

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Slideshow. Alessandro Nobile



Jazz Convention: Così, a bruciapelo chi è Alessandro Nobile?


Alessandro Nobile: A bruciapelo… un quarantenne che ha scoperto da piccolo la musica e da allora non è più riuscito a dividere passione, studio e lavoro. A volte quando diventa dura, mi chiedo cosa altro avrei potuto fare: sinceramente non vedo alcun bivio, è una scelta assoluta, non potrei “lavorare per suonare” sono sempre stato così. Tutto deve coincidere!



JC: Cosa mi dici invece di Southeast Of My Dreams?


AN: Io vivo Southeast Of My Dreams non come un punto, ma come un continuum. Questo lavoro racchiude composizioni recenti e meno recenti ma sintetizza soprattutto l’idea di un suono ben preciso, che è frutto credo del mio vissuto e dei miei ascolti, ma anche dei compagni di viaggio che ho scelto. È la mia dichiarazione d’amore per il jazz più puro, per il concetto, per l’idea di jazz. Il jazz che ti permette una autenticità musicale e umana, più che una banale dimostrazione di forza.



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


AN: I primi ricordi della musica sono legati alla figura di mio nonno che fischiettava e intonava canzoni e motivi siciliani, ma anche Shine On You Crazy Diamond se girava sul giradischi: era l’uomo più sereno del mondo. Forse ho sempre identificato interiorità e arte. Un giorno mi chiese di scegliere un regalo: comprai una chitarra classica. Altri ricordi sono legati alle domeniche mattina quando a casa suonavano in alternanza dischi di classica e opera.



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista jazz?


AN: Credo sia stata la musica jazz a cercarmi e a prendermi con sé, nel senso che da giovane avevo anche una forma di antipatia per un certo jazz: con il tempo invece ho capito che era la musica dove potevo esprimere tutto me stesso sia come musicista che come compositore. Ho scoperto con il tempo dopo aver ascoltato Art Ensemble of Chicago, Charles Mingus e altri che avevo dentro l’Africa, forse per la mia vicinanza geografica, e che potevo metter insieme quello che mi piaceva e farlo confluire tutto nel mio jazz.



JC: E in particolare un contrabbassista?


AN: Da piccolo ho suonato il piano e la chitarra, ma alla mia prima prova in gruppo sono stato subito attratto dal basso. Così ho iniziato a suonarlo senza tregua e come tutti i bassisti ho ascoltato Jaco fino allo sfinimento. In un secondo momento ho deciso di intraprendere gli studi classici e malgrado il mio maestro non ne fosse convinto, ascoltavo e suonavo sui dischi di Mingus, Ron Carter, Ray Brown, Scott LaFaro.



JC: Ma cos’è per te il jazz?


AN: Per me il jazz è espressione umana autentica: è una relazione intima di anime. Southeast Of My Dreams è espressione non solo mia, ma di tutto l’ensemble, è come i miei musicisti, i miei compagni di viaggio mi vedono, mi interpretano.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica?


AN: Il jazz è una stupenda contraddizione! Lo studio della tecnica e l’ascolto, fino all’ossessione, per esprimere la propria libertà! È pazzesco! È un canale privilegiato per protestare, per non starci, per incontrarsi, per stancarsi con godimento. È un luogo in cui tutto può funzionare con la stessa naturalezza dell’acqua che scorre o dove tutto può non trovarsi. È un lavoro su te stesso, come uomo, di auto miglioramento che lentamente si allarga: inizialmente tra i tuoi cari, e chissà, spero pure nell’ambiente circostante. Ma te lo immagini lo stato d’animo che uno doveva avere dopo un concerto in solo di Steve Lacy?



JC: Tra i musicisti con cui hai collaborato ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?


AN: Negli ultimi anni sono molto legato umanamente e professionalmente a Stefano Maltese, con cui parlo molto e suono stabilmente nei suoi progetti, assieme ad Antonio Moncada: due riferimenti fondamentali del mio jazz… sono anche molto affezionato a Luciano Troja con cui ho spesso diviso parlate notturne e sogni musicali.



JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?


AN: Mingus Plays Piano per affetto personale, credo.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?


AN: Mi sono sempre imbattuto in maestri e uomini speciali che sono stati importanti per la mia crescita artistica e con cui sono riuscito a creare un forte legame non solo musicale. Credo fortemente che arte e uomo coincidano: ho imparato molto sul contrabbasso da Giuseppe Giacalone, sulla scrittura da Salvatore Bonafede, sul suono e l’improvvisazione da Stefano Maltese. Credo anche di aver molto attinto e sognato attraverso Duchamp, Cage, Bach, Mingus, Monk e Duke Ellington, Björk, Beatles, Pink Floyd, Frank Zappa, cibato di cultura da Massimo Troisi, Woody Allen, Tim Burton o da Gesualdo Bufalino… e mi fermo qui!



JC: E i contrabbassisti che ti hanno maggiormente ispirato?


AN: Mingus!!! su tutti sicuramente: ma ascolto con molto interesse anche William Parker e Paul Rogers.



JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?


AN: Non vorrei esser retorico, ma credo sia l’uscita di questo disco. Quando sono entrato in sala di registrazione con Maltese, Sorge e Moncada – musicisti che ascoltavo ancor prima di conoscerli personalmente – ho pensato che questo era un momento da mettere nel cassetto delle cose belle della mia vita musicale.



JC: Come vedi la situazione della musica in Italia?


AN: Si dice che nella guerra nascano le grandi poesie, quindi dovrei dire bene!!! La cosa più grave a cui assisto in un periodo di crisi tanto profonda è la totale perdita di significato degli operatori culturali. Se li vogliamo ancora chiamare così… Quei signori che culturalmente più elevati dovrebbero proporre il non ancora noto, il futuro! Invece vedo che ovunque si cerca di addolcire la cultura – la musica in modo particolare – come se fosse amara. La domanda più frequente è diventata: e il pubblico? Piacerà a chi, a quanti? Ed ecco che nascono eventi, nomi strafighi di festival, dichiarazioni di guerra e di nuove avanguardie, per poi leggere nei cartelloni i soliti tre nomi con qualche cantautore. Per fortuna esistono collettivi e realtà di grande spessore culturale e musicale: bisognerebbe promuoverli e magari sostenerli, anche in Sicilia.



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


AN: Al riguardo ho molte idee che devono ancora prendere forma. Sicuramente ho molta voglia di scrivere per un ensemble allargato: mi attrae molto l’idea del doppio gruppo, con un quartetto di fiati e forse con una voce…