Dossier Gershwin – Parte Seconda

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Dossier George Gershwin

Parte Seconda

Quest’anno, per George Gershwin (1898-1937) si celebra un triplo anniversario: cent’anni, nel 1914, appena sedicenne, il giovane debutta come pianista per orchestra per le edizioni Rernick, dove conosce un certo Frederick Austerlitz, che gli rimarrà amico tutta la vita, cambiando più tardi, come fa lo stesso Georg Gershowitz, il proprio nome e cognome tedesco Fred Astaire diventando il pendant, nella danza, della genialità gershwiniana. Novant’anni fa debutta la Rhapsodiy In Blue, destinata a diventare un classico della letteratura musicale novecentesca, in uno anno particolarmente prolifico per il compositore, di cui va segnalato almeno il musical Lady Be Good! con Fascinating Rhythm quale brano di enorme successo. E ottant’anni Gershwin fa inizia a scrivere il lavoro più impegnativo, il melodramma Porgy And Bess. Di questo e altro si parla con Letizia Ragazzini, Gian Nissola e lo stesso George Gershwin in una “intervista” che è da ritenersi “assolutamente inedita”.


Porgy And Bess, un disco di Miles Davis

Folklore, musica, danza. Conversazione con Gian Nissola



Il critico casalese Gian Nissola, autore nel 2010 del volume Miles Davis. Il principe delle tenebre (edizioni ETS di Pisa) è forse tra i più indicati a raccontarci qualcosa sull’album ritenuto ancor oggi la miglior versione strumentale del melodramma gershwiniano, un disco tra l’altro che per il trombettista resta il maggior successo commerciale fino alla svolta rock con Bitches Brew e che non a caso nel 2000 viene inserito nella Grammy Hall Of fame Award.



Jazz Convention: Come e da chi nasce l’idea di fare una Porgy And Bess tutta strumentale con Miles Davis e Gil Evans?


Gian Nissola: Posta in tal modo la domanda presuppone un’immediata necessità di enucleare l’essenza del capolavoro lirico gershwiniano. Dal mio punto di vista tutto ruota attorno a quattro motivazioni che elenco subito: amore, tradimento, droga e morte. La trattazione musicale di detti motivi interessa vocalità e danza. Miles è molto interessato a una donna – Frances Taylor – che poi sposerà. La ritrova nei momenti in cui lei balla in Porgy And Bess al City Center di New York. È il 1958, in una fase in cui il jazz è in fermento, agli albori di un significativo cambiamento che avverrà l’anno successivo.



JC: Prima di registrarla Miles conosceva già bene Porgy And Bess?


GN: Davis assiste più volte allo spettacolo. Si appassiona alla danza e rammenta una precisazione di Gershwin ai tempi in cui lavorava alla composizione delle musiche di Porgy And Bess, prima del 1935. Miles ai tempi aveva meno di dieci anni; quindi la dichiarazione la lesse molto tempo dopo, quando ormai aveva scelto la strada della musica. Scrisse Gershwin: «La grande musica del passato è sempre stata basata sulla folk music. Questa è la sorgente più ricca della fecondità musicale ed io stimo il jazz American Folk Music, non la sola certo, ma una bellissima forma che è nel sangue e nei sentimenti delle genti americane.» Gershwin stesso, nella composizione, avverte un latente sentore jazz, dove addirittura non lo esprime chiaramente, tentando di scrivere in chiave jazzistica, per una grande orchestra con il completamento di coro e voci soliste. Folklore, musica, danza.



JC: Folklore, musica, danza: sono questi gli elementi a catturare l’immagine di Miles per la sua Porgy And Bess?


GN: Da qui forse l’idea di Miles di sviscerare l’affresco operistico gershwiniano; ne parla con Gil e subito scocca la scintilla. La rivisitazione dovrà avvenire in chiave strumentale; la tromba di Miles sarà la voce di Bess. Gil e Miles lavoreranno separatamente, poi, insieme, procederanno all’arrangiamento di una dozzina di pezzi, più uno originale, e manterranno la consequenzialità con una nuova impronta, coerente eppur diversa, rispetto all’originale gershwiniano. George Gershwin, bianco, di etnia ebreo-russa, si sente però profondamente americano essendo nato a Brooklyn. Quanto a Miles, nero, le radici sono afro. La rispettiva potenzialità folklorica, profondamente diversa, potrà fondersi in folk american music. La sfida è rischiosa ma entusiasmante; vale la pena di cimentarsi. E così il progetto prende il via.



JC: Chi sceglie gli orchestrali e dove e quando si registra l’album?


GN: La preparazione procede secondo il metodo di Miles e Gil: a distanza, per poi confrontarsi. Il lavoro è molto impegnativo e consequenziale. Tenendo conto delle sonorità e delle coloriture musicali che si intendono ottenere, e forse Miles ha già tutto in testa, dipende la scelta degli strumenti della band e relativi musicisti. Come già ai tempi dell’Orchestra Capitol non si tratterà di una big band in senso tradizionale; a fine anni Quaranta il famoso nonetto venne deciso da Gil, con lo zampino di Gerry Mulligan. Ora invece sarà Miles a decidere. Ci sarà una sezione di trombe e tromboni, una tuba e tre corni francesi, flauto alto e clarino basso, sax alto, non il sax tenore, e poi contrabbasso e batteria. Niente pianoforte anche se, ai tempi, con Miles suonava Bill Evans.



JC: Anche senza l’altro Evans, resta comunque una bella band…


GN: Sì ed è, insomma, soprattutto una formazione con tanti musicisti abili nella lettura degli spartiti. Si tratta in fondo di un progetto corale: è meglio non avere importanti individualità strumentali. Piuttosto musicisti preparati e di ottimo livello, profondi conoscitori del loro strumento e tecnicamente abili. Un doppio nonetto entra perciò in sala di registrazione fra la fine di luglio e la metà di agosto del 1958. Il luogo è New York, nel favoloso studio Columbia della trentesima strada; la responsabilità del progetto risulta del produttore Cal Lampley. Gil Evans ha invece la responsabilità degli arrangiamenti e della conduzione dell’orchestra.



JC: Che risultato artistico consegue alla fine Porgy And Bess?


GN: L’esito finale sotto il profilo artistico, musicale, estetico, culturale è davvero eccellente. La rivisitazione di Porgy And Bess fatta da Miles Davis e Gil Evans assurge quindi ad affresco folklorico nel quale elementi come il destino, la dolcezza, lo stato d’animo e l’autentica grandezza musicale possono fondersi con un ipotetico andamento danzante, perché i due musicisti, in piena coerenza con la loro idea iniziale, hanno saputo esprimersi in modo semplicemente superbo, con un linguaggio proprio e in una maniera del tutto nuova. Il paragone è completo se si richiama una celebre frase di Pablo Picasso: «Un dipinto è un qualcosa di vivente»… anche questa musica è “vivente”.



JC: Come ha accolto Porgy And Bess di Davis la critica americana ed europea?


GN: L’atteggiamento valutativo di un critico non è mai scevro da gusti personali, per quanta obiettività il medesimo ponga nell’analisi. Personalmente ascolto la musica più con il cuore che con il cervello, attraverso l’orecchio naturalmente. E non considero di certo un complimento l’appellativo di critico. La critica americana, tenendo conto della situazione ambientale, ben accoglie l’opera di Gershwin in quanto espressione genuina del folklore d’America che è molto distante dal melodramma europeo; profondamente diversa come rappresentatività e più attenta ai contenuti. La grandezza musicale del dramma gershwiniano è fuori discussione; per quanto riguarda la composizione presenta i connotati decisamente popolari del melodramma moderno: nulla di epico, mitologico, storico, come si trova invece nell’espressione colta del classicismo melodrammatico europeo. E qualsiasi riconoscimento, seppure in tal senso meritato, è sempre stato negato al suo autore per oltre mezzo secolo. Miglior fortuna ha forse la versione che propongono Miles Davis e Gil Evans.



JC: Cosa ne pensava lo stesso Miles di questo disco e cosa ne pensi tu?


GN: Nella autobiografia Miles dice che fu un disco veramente bello da suonare; gli arrangiamenti di Gil erano grandiosi e in I Love You, Porgy egli riesce, con la tromba ad avvicinarsi alla voce umana. Miles definisce questo brano come il più difficile che abbia mai suonato; lo interpreta con un timbro e un fraseggio che richiama la voce di Bess. L’arrangiamento di Gil è quanto di più semplice: una scala e nessun accordo. Aveva usato due accordi per le altre voci. Il tal modo il passaggio di scale di Miles con quegli unici due accordi gli dava la possibilità di spaziare libero e sentire altre cose. Io ascolto molto spesso le registrazioni di Miles, Porgy And Bess in particolare, e naturalmente pure Kind of Blue. Ebbene quella scala scritta da Gil per I Love You, Porgy forse precorse l’intuizione di Miles ad avvicinarsi alla musica modale, di cui proprio Kind of Blue rappresenta un fulgido esempio e questa volta anche grazie al pianismo di Bill Evans.



JC: Vorresti analizzare qualche pezzo particolarmente riuscito?


GN: Ho già accennato al brano I Love you, Porgy del quale devo rimarcare che esiste anche una seconda diversa versione registrata nella seduta del 18 agosto 1958. Ebbene la Columbia la pubblicherà solo nel 1997 in occasione dell’edizione dell’opera su CD. Il pezzo su cui voglio soffermare l’attenzione è invece un brano denso e dissacrante: I Ain’t Necessarily So, punteggiato da numerosi ritornelli delle trombe, che non fanno che accentuare la brevità delle frasi, spigolose e a volte stridenti, distillate dalla tromba sordinata di Miles che tratteggia la figura subdola e intrigante dell’infingardo Sportin’ Life, lo spacciatore di droga. È un pezzo che contrasta la levità che permea in generale l’opera.



JC: Hai altro da aggiungere? Aneddoti o curiosità sui singoli brani?


GN: Data l’importanza dell’opera mi sembrerebbe riduttivo concludere con un aneddoto. Pertanto voglio soffermarmi a confrontare due momenti, nel tempo assai distanti fra loro: New York, agosto 1958 e Montreux, luglio 1991, quando rimane solo Miles e Gil non è più da almeno tre anni. Si tratta di una figura evanescente quella dell’amico fraterno: esile come un bianco gabbiano, le braccia spiegate come ali, le mani ripiegate, invitanti e imperiose, pronte a dirigere l’orchestra e i suoi stupendi arrangiamenti si traducessero in suono. La figura di Gil si confonde nella sua mente, nei suoi grandi occhi, con quella di Quincy Jones che è dinnanzi a lui sul palco. Uno aveva la pelle bianca, l’altro ha la pelle nera, ma che differenza c’è? Il corpo è solo un involucro che racchiude uno spirito, incolore e invisibile, che esprime emozioni, impressioni, musica e poesia; su questi quattro tipi di sensazioni Gil e Miles si sono più volte confrontati, si sono compresi e si sono dondolati come in una dolce ninna nanna.



JC: Un ultimissimo flash?


GN: È luglio, tempo d’estate… Summertime, e il ricordo si confonde con la realtà, ed è di nuovo tempo di ninna nanna. Partono le struggenti note gershwiniane di uno dei brani più belli e conosciuti di tutta la storia della musica. E Miles è lì che le interpreta ancora una volta, un’ennesima volta, e sarà l’ultima, la sua sessantacinquesima estate: ma lui non lo sa. È molto stanco, il concerto volge al termine; certamente non sarà stato stanco quel 4 agosto 1958 quando Gil, in polo bianca a maniche corte e pantaloni grigio scuro, concentrato e sicuro dirigeva Miles e l’orchestra nel favoloso studio sulla trentesima strada a New York: stavano registrando proprio Summertime. Più di trent’anni dividono questi due momenti: la musica di Miles dovrà ancora cambiare molto da allora. È cambiata molto ogni giorno. Così come lui.