Tommaso Starace, ovvero l’arte di “suonare” le fotografie.

Foto: la copertina del disco










Tommaso Starace, ovvero l’arte di “suonare” le fotografie.


Italian Short Stories – Tommaso Starace plays the photos of Gianni Berengo Gardin è un disco d’intensa liricità melodica, a metà strada tra neoralismo bianconero e fulminazioni impressioniste. È un lavoro costruito sull’emotività del momento, su sensazioni forti che le immagini di Berengo Gardin solitamente provocano su chi osserva le sue foto. Starace ne riproduce il profilo iconico su tele astratte dove la musica disegna sagome e confini mentali. È un disco d’immagini narrate, di riflessioni, sogni e pulsioni interiori che solo il jazz riesce a rappresentare attraverso un sentire personale, libero e immaginifico.



Jazz Convention: Tommaso Starace, raccontaci di te e della tua “duplice” identità inglese e italiana…


Tommaso Starace: Sono nato a Milano da padre napoletano e madre australiana. Ho avuto la fortuna di crescere bilingue e vivendo in Italia sono sempre rimasto attratto dalla cultura anglosassone. Quando ero adolescente spesso passavano amici americani, inglesi o australiani per casa nostra ed ero affascinato dai modi e dalla cultura differente di questi ospiti. Quindi quando ho avuto l’opportunità di studiare in Inghilterra e di poter vivere in una città elettrizzante come Londra ho colto subito l’occasione!



JC: L’educazione musicale inglese quanto ha influito sul tuo essere jazzista dai caratteri mediterranei?


TS: Direi molto! Ho avuto la fortuna di cominciare a suonare il sassofono con un bravo insegnante all’Umanitaria, una piccola scuola di musica non lontano da casa mia a Milano. Purtroppo, avendo cominciato tardi a fare musica (17 anni) con l’intenzione di continuare, il sistema scolastico italiano non dava la possibilità di uno sbocco nel mondo della musica. I conservatori ti prendono solo quando sei giovane ed ai miei tempi al Liceo non c’era modo di fare musica. Nel secondo anno di Liceo Scientifico ho avuto la possibilità di lasciare il sistema italiano ed andare in una scuola inglese (Sir James Henderson School). Li ho avuto la possibilità di scegliere le materie che più mi interessavano e la musica occupava gran parte delle mie giornate! In quattro anni ho passato tutti gli esami necessari per accedere al Conservatorio inglese. Nei paesi anglosassoni c’è molto più rispetto spazio per le materie artistiche



JC: Prima di giungere a Italian Short Stories – Tommaso Starace plays the photos of Gianni Berengo Gardin, ci puoi fare una veloce panoramica sui tuoi dischi precedenti, e soprattutto su quello che fa da preludio a quest’ultimo, intitolato Tommaso Starace plays the photos of Elliott Erwitt?


TS: Ho registrato sei dischi a mio nome. Il primo appena finito il mio Master al Guildhall School of Music and Drama e si intitola Tommaso Starace Qr plus special guests, un CD dove ho collaborato con musicisti jazz giovani e di talento della scena jazz Londinese. Poi ho registrato Tommaso Starace plays the photos of Elliott Erwitt con un quintetto inglese che ospita il vibrafonista amico Roger Beaujolais e un bravissimo pianista britannico Liam Noble. Il terzo disco Don’t Forget è stata la prima collaborazione col quartetto italiano. In questo CD abbiamo registrato standards da composizioni quali quelle di Billy Strayhorn oltre a pezzi di musicisti contemporanei quali Pat Metheny e Stevie Wonder. Poi ho registrato Blood & Champagne, con un quartetto inglese, suonando pezzi originali composti da me insieme a standards ma anche un arrangiamento di Nuovo Cinema Paradiso. Questo disco ha come ospite una bassista elettrico fra i piu’ bravi a livello mondiale, Laurence Cottle. È stato un’onore averlo su questo disco! L’amore per Michel Petrucciani ha spinto il quartetto italiano a registrare Simply Marvellous in cui abbiamo selezionato alcune delle composizioni piu’ belle del pianista francese. Questo disco è stato il mio esordio con la Universal/EmArcy in Italia. Fabrizio Bosso è presente su due tracce del disco e poi c’è il mio amico Roger Beaujolais al vibrafono ospite su tre pezzi. Ed infine Italian Short Stories – Tommaso Starace plays the photos of Gianni Berengo Gardin. La passione per le foto in Bianco e Nero continua ma questa volta dedicata alle immagini del “Cartier-Bresson italiano”. Il mio amore per il cinema mi ha portato ad esplorare la possibilità e la voglia di comporre musica ad immagini con un forte impatto narrativo. Nel 2005 ho scelto Elliott Erwitt poichè amavo la perfezione e la comicità delle sue immagini e grazie alla Magnum ed a lui stesso ho avuto i permessi per usare le sue immagini. A distanza di 9 anni ho deciso di ritornare su questa stessa strada usando le foto di Berengo Gardin e cercando di comporre musica altamente melodica e cinematica ispirandomi a compositori quali Ennio Morricone e Fabio Concato. In questo disco abbiamo avuto l’onore di ospitare Paolo Fresu alla tromba e flicorno



JC: Parlaci del tuo rapporto con Gianni Berengo Gardin e della nascita del disco..


TS: Ho conosciuto Gianni nel periodo in cui stavo preparando il mio disco dedicato alle foto di Elliott Erwitt. Gianni è un grande amico di Elliott Erwitt e lo contattai per invitarlo ad un mio concerto a Milano alle Scimmie Jazz Club. Fu molto gentile in quanto trovò il tempo per venire ad ascoltare il mio quartetto e scattò anche qualche foto di noi in azione. Ho delle sue foto di quella sera appese in camera mia: un vero onore! Il desiderio di creare questo nuovo disco è dovuto al fatto che dopo vent’anni di vita nel Regno Unito, fortunato di vivere in una delle più belle e stimolanti città del mondo qual’è Londra, non ho resistito ad un po’ di sana nostalgia di “casa” ed ai tanti ricordi del mio passato. Così ho voluto dedicare della musica al mio paese



JC: Quale è stata la chiave creativa che ti ha portato a comporre i quattordici brani racchiusi nel disco?


TS: La chiave creativa sono state le immagini di Gianni Berengo Gardin. Senza di queste non sarei mai arrivato a scrivere certe composizioni. Infatti credo che se uno ascoltasse la musica senza poterla paragonare all’immagine forse non troverebbe molto senso nelle composizioni: sicuramente è cosi per me. Un’altro elemento importante di questo progetto è stato quello di lavorare con il mio quartetto su composizioni che hanno forti linee melodiche, in sintonia con le ragioni per le quali la musica italiana è famosa nel mondo. L’improvvisazione è sempre presente ma meno protagonista: sono le melodie che accompagnano, rendono vive le immagini e raccontano una storia



JC: A quale di questi brani sei più affezionato? O che continua a risuonarti in testa?


TS: A dire la verità sono affezionato a tutti i pezzi che ho scritto. Ho dedicato tempo e messo tanto cuore in ogni composizione affinchè fossi contento al 100%. Un’immagine, che mi piace in particolare, su cui penso di aver composto un pezzo che descrive bene quello che viene narrato è stata scattata a Milano nel 1950 in un oratorio di periferia. S’intitola Motion in Stillness (Movimento nella Staticità) e ritrae un prete fermo che guarda nell’obbiettivo di Berengo con pazienza e saggezza mentre al suo fianco gira vorticosamente una giostra stracolma di bimbi il cui movimento impedisce di vedere i loro dettagli



JC: In Italian Short Stories suoni sia l’alto che il soprano. Quale dei due ami più suonare?


TS: Amo tutti e due i sassofoni. Forse il contralto un po’ di più, perchè i miei sassofonisti di riferimento sono contraltisti. Tuttavia sto attraversando un periodo che non mi vede soddisfatto sul contralto e mi diverto molto a suonare il soprano. È strano perchè sul soprano riesco ad essere più facilmente melodico. È per questo che l’ho usato per la maggior parte di questo album! Col contralto, forse perché ho in testa i miei eroi, come il contraltista Cannonball Adderley, mi riesce più difficile essere melodico e tendo a suonare linee “verticali” anzichè “orizzontali”. Acquisto maggiormente un linguaggio e fraseggio Bop



JC: Ci parli della formazione che ti accompagna in questo disco?


TS: Ho conosciuto il contrabbassista Attilio Zanchi mentre frequentavo i seminari di Nuoro Jazz. Finito il corso mandai ad Attilio un mio CD che gli piacque – per l’esattezza quello dedicato alle foto di Elliott Erwitt. Volevo formare un quartetto italiano ed Attilio mi consigliò di chiamare il pianista abruzzese Michele Di Toro, che allora viveva a Milano, ed il batterista Milanese Tommy Bradascio. Con il passare degli anni – suoniamo assieme da 9 anni -, è cresciuta una bella intesa musicale ed una stima reciproca. Quello che sembra uscire naturalmente nella musica di questo quartetto è la ricerca della melodia; e poi c’e una bella interazione. Abbiamo registrato assieme tre dischi e suonato in molti festival e club in Italia, Inghilterra, Svizzera e Sud America. C’e anche da dire che dopo tanti anni quando suono con Attilio, Tommy e Michele mi sento sempre a mio agio e ciò mi aiuta a rilassarmi. Ovviamente ci sono momenti di tensione con l’adrenalina che scorre forte prima dei concerti, ma so che di loro tre posso sempre fidarmi lasciandomi andare ed esplorare nuovi territori musicali. Attilio e Tommy sono due musicisti che hanno alle spalle molta esperienza essendo un po’ più avanti negli anni rispetto a me e Michele. Sono tutti grandi professionisti e continuo a imparare sempre molto dal modo in cui gestiscono le situazioni e si rapportano agli altri. Sono persone generose e altruiste e sono questi alcuni degli elementi essenziali che mantengono in vita e danno prospettiva al quartetto. Per non parlare poi della musica che nasce dal nostro affiatamento. Ad esempio suonare con a fianco Michele è un po’ come tornare a essere bambini e giocare a nascondino: c’è un continuo desiderio di divertirsi, di giocare con la musica e cercare qualcosa di nuovo



JC: Hai già in mente il nuovo progetto? Si ispirerà al lavoro di un altro grande fotografo?


TS: Ci sono vari progetti che vorrei realizzare. Collaborare con un jazzista di fama americano e lavorare su di un disco dove posso fare degli arrangiamenti per archi. Mi piacerebbe fare anche un album in duo con Michele Di Toro. In futuro, e vorrei far passare qualche anno, tornerò alla formula jazz/fotografia ma cercando di far qualcosa di nuovo sempre con immagini in bianco e nero che amo tanto! Sarebbe un sogno per me realizzare un progetto sulle fotografie di Robert Capa un personaggio affascinante che ha segnato nella fotografia il ventesimo secolo.



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