Paolo Fresu insignito del Premio Valenza Jazz 2014

Foto: Fabio Ciminiera










Paolo Fresu insignito del Premio Valenza Jazz 2014


Paolo Fresu viene festeggiato lunedì 1° dicembre 2014 a Valenza Po – in provincia di Alessandria – con il Premio “Valenza Jazz 2014”, giunto alla terza edizione, in precedenza assegnato a Dado Moroni e a Fabrizio Bosso, dalla Commissione Artistica nominata dall’Associazione Amici del Jazz Valenza – che quest’anno festeggia a sua volta una lietissima ricorrenza come i sessant’anni di ininterrotta attività – e presieduta da Fulvio Albano, presidente del Jazz Club di Torino: i motivi del premio son quasi ovvii: il cinquantaquattrenne artista sardo in trentennale esperienza musicale, ottiene fin da subito prestigiosi traguardi nei quali risultano altissimi i valori di stile, professionalità, uniti all’originale riferimento a un suono raffinato e passionale, a un disegno musicale generatore di una vena creativa sempre nuova, con la capacità progettuale di inventare continuamente inediti scenari espressivi.

Il Premio Valenza Jazz 2014 verrà consegnato alle ore 21,15 al Teatro Sociale di Valenza in una serata che prevede lo straordinario concerto con il Paolo Fresu Devil Quartet, comprendente Paolo Fresu tromba e flicorno, Bebo Ferra chitarra, Paolino Dalla Porta contrabbasso e Stefano Bagnoli batteria. L’evento, promosso dall’Associazione Amici del Jazz di Valenza, è realizzato con la collaborazione del Comune di Valenza, della Provincia di Alessandria, di molti Sponsor e, in particolare, sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria e Fondazione CRT. Quattro sono le volte che Paolo Fresu si esibisce delle rassegne jazzistiche valenzane: 6 maggio 1999, terzo Memorial Carnevale con il Loris Stefanutto Trio; 14 ottobre 2005 con il Paf Trio insieme a Antonello Salis fisarmonica e Furio Di Castri contrabbasso; 11 febbraio 2007 omaggio a Leo Ferré con Gian Maria Testa; 4 novembre 2010 con Daniele Di Bonaventura al bandoneon e il Coro Corsica.

Per raccontare brevemente Paolo Fresu occorre subito premettere che il jazz oggi è tante cose: la sua immagine popolare si dipana nei volti dei musicisti, nelle copertine dei 33 giri o dei CD, nei tanti strumenti musicali che il sound afroamericano ha creato, valorizzato o semplicemente reinventato, dalla batteria quale insieme di piatti, tamburi, percussioni al contrabbasso pizzicato senza archetto, fino ai sassofoni quasi violentati per ricavarne timbri acutissimi o scale improbabili. Tuttavia lo strumento che meglio rappresenta il jazz di sempre, tra passato e futuro, è la tromba, dalle origini remote, parte intima dell’apparato uditivo umano (la Tromba di Eustachio), presente in ogni cultura sonora. La tromba nel jazz è in primis la cornetta di Buddy Bolden, Freddy Keppard, King Oliver e Louis Armstrong a New Orleans, o più tardi la variante del bopper Dizzy Gillespie con la campana piegata verso l’alto. Ed è sempre una tromba, forse la più grande, quella di Armstrong, protagonista della prima (e per molto tempo l’unica) autobiografia di un jazzista, Satchmo. La mia vita a New Orleans, a essere pubblicata in Italia nel lontano 1956, due anni dopo la fondazione dell’Associazione “Amici del jazz” di Valenza.

Oggi invece i trombettisti jazz sono rappresentati nel mondo da un italiano, l’ancor giovane Paolo Fresu, un cinquantenne che in trent’anni di una carriera densissima ha battuto ogni record, vinto ogni trofeo, raggiunto ogni obiettivo, non ultimo questa nostro premio valenzano. Se questa sera a lui va un riconoscimento prestigioso è perché, stilisticamente parlando, Paolo Fresu ha saputo cogliere e rielaborare il meglio di due Maestri del secondo Novecento, ovviamente anch’essi trombettisti: Chet Baker e Miles Davis. Di Chet e di Miles, Paolo Fresu riesce in maniera personalissima ad amalgamare le novità artistico-culturali di due geniali jazzisti, iniziatori del cool, per molti versi antitetici e complementari: i due volti di un moderno trombettismo, che simboleggia le luci belle, delicate e soffuse del jazz tra gli anni Cinquanta e Ottanta: Chet Baker, bianco, ha uno stile apollineo; Miles Davis, nero, inventa dionisiacamente inedite sonorità a ogni decennio.

Ma in più per Paolo Fresu il discorso cambia persino in meglio, dal punto di vista umano, nel senso la professionalità, il rigore, la consapevolezza, il metodo prevalgono sul vecchio cliché “genio e sregolatezza”, in una prospettiva multiculturale aperta; altre musiche, come l’etnica, il bebop, la classica, il folk sardo, la world fusion sono per Paolo Fresu il modo per arricchire ulteriormente sia un coerente riferimento al suono raffinato della tromba stessa sia un amore viscerale per il jazz medesimo trasmesso, a sua volta, con passionale entusiasmo attraverso concerti, dischi, persino libri e dvd: e l’elenco sarebbe lunghissimo… A livello di album basti ricordare l’esordio con il long playing Ostinato in quintetto per la Splasch nel 1985 e il recentissimo Trenta, sempre in quintetto per la Tuk Music Bonsai, non senza aver ricevuto l’anno scorso una prestigiosa Laurea Honoris Causa in Psicologia dei Processi Sociali, Decisionali e dei Comportamenti Economici presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca.

Il jazzman sardo – nato a Berchidda il 10 febbraio 1961 – bandleader, compositore, discografico, talent scout, virtuoso di tromba e flicorno, inizia dunque la carriera fin da ragazzino nella banda del paese, frequentando poi i corsi di jazz a Siena e appena ventenne ottenendo già importanti riconoscimenti a livello italiano. Da allora la sua carriera artistica è sempre stata tutta in crescendo, con decine di album a proprio nome e addirittura centinaia con altri grandi personaggi come Michael Nyman, Gunther Schuller, Trilok Gurtu, i Farafina, Alice e Ornella Vanoni, senza dimenticare i sommi jazzisti americani ed europei (Gerry Mulligan, John Zorn, Dave Holland, John Abercrombie, Dave Liebman, Uri Caine, Richard Galliano, Michel Portal) e gli italiani (Franco D’Andrea, Enrico Rava, Gianluigi Trovesi, Enrico Pieranunzi). La sua poetica alla fine può definirsi contemporanea’, legata alla modernità, con qualche incursione avanguardista, nonostante il punto di riferimento resti sempre la classicità “attualissima” dei citati Chet Baker e Miles Davis.

Se, come dice con parole di sincera modestia proprio il superbo Miles Davis, «non è possibile suonare qualcosa su una tromba che Louis Armstrong non abbia già suonato» è anche vero che dischi e concerti, come quelli di Paolo Fresu, sono la dimostrazione di quanto in realtà di bello, grande, buono, immortale si stia ancora facendo con una musica, il jazz, che ha ancora molto da dire: a dimostrazione ecco sette brevi commenti da altrettanti dischi di Paolo Fresu di recente pubblicazione in ordine cronologico.

Think, Paolo Fresu & Uri Caine, Blue Note, 2006

L’incontro tra due geni musicali o anche più semplicemente tra due importanti jazzisti è sempre qualcosa di imprevisto, rischioso, indecifrabile. E non tutte le ciambelle escono con il buco: era successo addirittura a Louis Armstrong e Duke Ellington, quando nel 1961, gli allora maggiori jazzmen della storia si incontrarono per la prima volta in un’unica session per un paio di dischi: ne uscirono album più che dignitosi, ma non capolavoro assoluto, perché non basta associare due sommi talenti per ottenere un risultato straordinario. Per fortuna o piuttosto grazie a un progetto molto ragionato accadono pure i miracoli: è il caso appunto di Fresu e Caine, anche, come Armstrong ed Ellington, loro rispettivamente alla tromba e al pianoforte: anche loro non solo importanti jazzisti, ma autentici geni musicali, per quanto, al momento, non ancora confrontabili con l’eccezionalità di Satchmo o del Duca, Fresu e Caine restano fondamentali innovatori nel recente panorama jazzistico; tuttavia in questo Think i due preferiscono affidarsi alle tradizioni consolidate, con Paolo a ribadire un raffinato estetismo e con Uri che invece partecipa brillantemente alle soluzioni eclettiche e variabilissime. Per Think di fatto si tratta di un dialogo a due fra tromba (e flicorno, elettronica) da un lato e pianoforte (e Fender Rhodes) dall’altro, con l’aggiunta dell’Alborada String Quartet (due violini, viola, violoncello) a fare quasi da terzo interlocutore e comunque parte attiva di un progetto efficace, anche se multiforme. In concreto Fresu e Caine improvvisano da par loro anzitutto su brani originali, alternando Duru Duru Durulìa, Tema Celeste, Centochiodi di Paolo, a Blood Money, In Memoriam, Claws, Cowboys And Indians di Uri. Poi inseriscono di proposito brani eterogenei: un jazz standard (Doxy di Sonny Rollins), un song americano (Darn That Dream di Van Heusen), due pezzi del jazzman olandese Diederik Wissels (The Way Forward e Ossi), persino il barocco (Lascia ch’io pianga di Haendel) e l’operetta (Non ti scordar di me), mentre la title track è un’improvvisazione collettiva. Resta infine un sound pacato d’atmosfera che, nella sua morbida tranquillità, quasi tutta su tempi medi, mette ancor più in evidenza il sofistica lirismo dei leaders e dell’intera operazione.

Chiaroscuro, Ralph Towner & Paolo Fresu, ECM, 2008.

Ciò che unisce il sound dei dischi di Fresu per ECM è proprio la casa discografica, le celeberrima etichetta bavarese, con il patròn produttore Manfred Eicher che è riuscito in quarant’anni di ininterrotta attività a imprimere un sound inconfondibile a ogni disco, arrivando a condizionare, in positivo, lo stesso decorso delle musica jazz e di quella improvvisata. Infatti ogni album suona innanzitutto come ECM, più che come Towner/Fresu in questo caso: la capacità di “emmecizzare” anche grandi solisti, talvolta persino i lontani dal gusto della label tedesca è un dato su cui riflettere e che comunque ha fatto scuola e ha fornito un jazz sospeso, evocativo, perlaceo, adamantino. Difficile usare tanti aggettivi per definire questa autentica scuola di pensiero e di autodisciplina, che può approdare dunque a esiti più che confortanti, come, qui, per Chiaroscuro, con Paolo Fresu e l’altro contitolare, Ralph Towner che è, come si sa, tra i più quotati chitarristi di un genere trasversale che negli ultimi trent’anni, soprattutto in seno al quartetto Oregon, ha toccato il jazz, il folk, il rock, persino la classica. E perciò ascoltando Chiaroscuro dove Ralph e Paolo duettano in completa solitudine in dieci brani spesso brevi di loro composizione, tranne il noto standard Blue In Green di Miles Davis, emerge un duo cameristico di straordinari virtuosi che si fondono quasi in un unico spirito.

Songlines/Night & Blue, Paolo Fresu 5et, Tuk Music, 2010.

Dopo trent’anni a lavorare per case discografiche sia italiane sia straniere (Splasc(h), Owl, Label Bleu, ACT, Blue Note, Cam Jazz, eccetera) e al contempo imporsi tra i migliori jazzmen al mondo, il trombettista Paolo Fresu ha deciso di fondare la propria etichetta, Tuk Music, che produrrà alcuni lavori scelti tra vari progetti dello stesso leader sia nuovi artisti del panorama europeo: intanto esce, quale debutto ufficiale, Songlines / Night And Blue che è il primo doppio lavoro che Fresu pubblica, con la band a lui più cara, dopo un trentennio anni di coerente attività, parallelo solo ad altri excursus sonori dalla big band alla world music, dagli archi ai duetti. Il primo cd Songlines offre tutte composizioni originali composte da Paolo e dagli altri quattro membri del Quintet – Tino Tracanna (tenore e soprano), Roberto Cipelli (pianoforte), Attilio Zanchi (contrabbasso), Ettore Fioravanti (batteria) – ispirandosi alla linea melodica che fa da apripista alla forma-canzone, quasi fosse la versione più lirica e romanticheggiante del Miles Davis Quartet dei primi anni Sessanta. Si tratta di quindici brani che, senza dubbio, toccano vertici altissimi, grazie alla densità di passione e di pathos, forse i due elementi alla base dei tratti fondamentali della musica proposta da Fresu in quintetto dove, oltre l’indiscussa qualità tecnica, mai però fine a sè stessa, da sempre prevale l’interplay e la condivisione a un livello emozionale (ma con il nume della ragione). Il secondo cd, titolato Night And Blue, è al contrario il primo disco interamente di standard inciso dal quintet ed è, come suggerisce il titolo, un omaggio alla notte, quasi si tratta di un jazz più malinconico, con la voglia di raccontarsi come in un film (non a caso c’è la dedica al regista Krzysztof Kieslowski): tra i quattordici evergreens spicca anzitutto l’iniziale toccante versione di Blue Gardenia (resa celebre da Nat King Cole), senza dimenticare il modale di Blue In Green (Miles Davis) e Children Of The Night (Wayne Shorter) e l’omaggio a due trombettisti neri in apparenza distanti da Fresu, il Lee Morgan di Blue Lace e il Blue Mitchell di Blue Silver, per non parlare dell’hard bop in Blue Seven dall’immenso tenorista Sonny Rollins, a dimostrazione che Fresu sa padroneggiare ormai qualsiasi linguaggio jazzistico.

Mistico Mediterraneo, Paolo Fresu, A Filetta Corsican Voices, Daniele di Bonaventura, ECM 2011.

Nuova avventura cultural-musicale con ECM per l’insigne trombettista sardo, che stavolta guarda alle sonorità corse, in un progetto condiviso fra A Filetta (coso maschile di sette voci) e Daniele di Bonaventura (al bandoneon). Tredici canzoni dotte, le cui affascinanti misteriose sonorità rimandano quasi a una nuova fase della world music. C’è insomma un fascino arcano e religioso in questo accostare antiche polifonie e sonorità moderne, così come, analogamente, per la stessa etichetta venne registrato, nel 1993, il fondamentale Officium, incontro magistrale fra il sax di Jan Garbarek e l’ars nova dell’Hilliard Ensemble. Come scrive Ciro De Rosa: «Mistico Mediterraneo è carico di pathos in apertura con il tema cantato in latino Res tremendae, che con Figliolu d’ella – qui Fresu interagisce con il canto còrso tessendo note che rendono un pronunciato sentimento d’afflizione – proviene da Di Corsica riposu, requiem pour deux regards, scritto da Acquaviva nel 2004. Liberata, tratto da un documentario sulla Resistenza còrsa nel II conflitto mondiale, mette in luce il mantice, che in solo o in coppia con la tromba si ritaglia uno spazio fortemente lirico o sostiene la solennità del canto. Tre brani derivano dall’incontro di A Filetta col parigino Bruno Coulais, noto compositore di colonne sonore: Le lac riprende un mantra tibetano, Gloria è perfetta interazione tra voci umane, strumentali ed elettronica, La folie du Cardinal, anch’essa in latino, mette al centro il superbo colore vocale dei còrsi su un impianto musicale prevalentemente iterativo. Da parte sua di Bonaventura contribuisce con tre brani: Gradualis, siglata con Acquaviva, dove il settetto vocale si adagia sul soffio morbido di bandoneon e tromba o li contrappunta; e gli strumentali Corale, col mantice ad assumere, a tratti, le sembianze di un organo, ad interloquire col fraseggio luminoso dei fiati, poi a giocare su note misurate, e Sanctus, brano conclusivo del disco, intreccio delizioso tra gli strumenti del sardo e del marchigiano, che nella sequenza finale accrescono il portamento devozionale. Un contributo giunge anche dal compositore di polifonie contemporanee Jean Michel Giannelli, che firma Da te à mè e Scherzi veranili, i cui testi si devono alla penna del poeta còrso Petru Santucci. Da incorniciare Dies Irae e U sipulcru; nel primo il fraseggio di Fresu ribatte o si sovrappone magnificamente alle voci còrse, per librarsi nel finale in un’improvvisazione pregna di tensione, nel secondo, in origine realizzato per una rappresentazione della Passione a Calvi all’inizio degli anni Novanta, voci, ottoni ed elettronica ci regalano ancora accorata emotiva e profondità sacrale».

Desertico, Paolo Fresu Devil Quartet, Tuk Music, 2013

Da sempre impegnato su vari fronti espressivi, il cinquantunenne trombettista sardo, da almeno vent’anni sulla cresta dell’onda internazionale, si trova oggi a suonare con il proprio quintetto Blue Note (con Tino Tracanna), con l’Orchestra jazz di Sardegna, con il trio multietnico e appunto con questo “quartetto del diavolo”, in cui forse riserve le migliori doti artistiche, a livello di sound complessivo, doti soliste, novità musicali. Il gruppo è completato da Bebo Ferra alle chitarre acustica ed elettrica, da Paolino Dalla Porta al contrabbasso e da Stefano Bagnoli alla batteria, mentre lo stesso Fresu non disdegna, oltre la tromba, il flicorno e gli effetti elettronici. L’inizio dell’album è travolgente: la versione quasi irriconoscibile di (I Can’t Get No) Satisfaction dei Rolling Stones, dove comunque è recuperata e riaggiornata la forza e la potenza del brano rock attraverso il tessuto ritmico e i riff chitarristici; poi, tolto o standard Blame It On My Young (Levant-Heyman) è tutto un alternarsi di pezzi firmati da Ferra (Poetto’s Sky e la title track), da Dalla Porta (La follia italiana, Suite For The Devil), da Stefano Bagnoli (Voci Oltre e Young Forever) e dallo stesso leader (Ambre, All Items, Ninna nanna per Andrea, Inno alla vita) e le atmosfere mutano decisamente, perché in fondo Desertico è un disco molto vario proprio in virtù delle metamorfosi inventive compiute ad ogni passaggio. Ad esempio, finito il rock dinamico d’apertura, si passa a una ballad che pare quasi un madrigale nel tema introduttivo, che poi si sviluppa anche con maggior respiro per dare spazio al convincente assolo acustico (Ferra è un po’ l’alter ego di Paolo in tutto il disco). Anche il terzo brano sembra quasi una canzone romantica, quasi da folk singer, forse in virtù della capacità di Fresu e compagni di scrivere e poi variare in maniera adeguata, originale, fascinosa.

30!, Paolo Fresu Quintet, Tuk Music 2014.

Trent’anni ma sembra ieri: era il 1984 quando Paolo Fresu (tromba e flicorno) e Roberto Cipelli (pianoforte) decidono di formare un nuovo gruppo che assumerà in pochi mesi la forma definitiva del classico quintetto jazz con Tino Tracanna (sax tenore e soprano), Attilio Zanchi (contrabbasso) ed Ettore Fioravanti (batteria). Da allora a oggi il Paolo Fresu Quintet assieme al Basso Valdambrini Sextet degli anni Cinquanta-Sessanta è senza dubbio la miglior formazione espressa dal jazz italiano (come del resto conferma anche questo nuovo bellissimo disco), facendo ormai a pieno titolo parte integrante non solo della storia dei ritmi sincopati tricolori, ma anche e soprattutto dell’identità europea di una musica afroamericana declinata secondo le moderne tradizioni dell’hard bop, del modale, del new mainstream. ma anche del festeggiando – con la stessa originale formazione – i trent’anni di vita, cosa assai rara nell’intera storia della musica afroamericana. L’esordio fonografico con Ostinato per la Splasc(h) Records pone subito la band come protagonista della scena nazionale che, già con l’album successivo Inner Voices (1986) assieme al grande sassofonista statunitense Dave Liebman, diventa cosmopolita. Da allora a oggi saranno diciassette tra LP e Cd i lavori pubblicati, tutti sempre ad alto livello, come per esempio Live In Montpellier, Ossi di seppia, Mélos, Ethno Grafie, Kosmopolities, mentre sul paino espressivo lo stile è progressivamente mutato dall’iniziale corposo post-free a un delicato romanticismo che, pure in 30!, si riversa in tenere ballad, che a loro volta, però, non escludono interventi solistici complessi dall’ottimo bilanciamento fra scrittura e improvvisazione. In tal senso il contributo viene equamente ripartito fra i cinque e se da un lato è comune Fresi a tirare le fila del discorso, dall’altro la collaborazione attiva e compattezza estetica di Tracanna, Cipelli, Zanchi e Fioravanti è innegabile, come si evince da 30! con i suoi tredici brani, quasi tutti di proposito assai brevi, onirici, cantabili e intensi.

Vinodentro, Paolo Fresu, Tuk Music 2014

Da sempre jazz lavora assai poco nelle colonne sonore per il cinema o il teatro; le occasioni, per quanto fautrici di esiti talvolta straordinari – come Miles Davis per il film Ascensore per il patibolo di Louis Malle o Jackie McLean per la pièce The Connection del Living Theatre – alla fin fine, restano, in passato come nel presente, rare e sporadiche. Ed è quindi con vero piacere che si può ora accogliere ed ascoltare un lavoro concepito appositamente per lo schermo. Il jazzman sardo Paolo Fresu – definito il “trombettista insonne” per l’incessante attività fra 2500 concerti, 300 dischi, 3 libri, 2 festival diretti – firma lo score del lungometraggio Vinodentro, in uscita nelle sale nel marzo 2014, dopo il successo della première al Courmayer NoirInFestival: un audiovisivo che simboleggia un nuova istanza nella fruttuosa collaborazione tra il musicista e il regista Ferdinando Vicentini Orgnani, che inizia nel 2002 con il docu-drama “Ilaria Alpi. Il più crudele dei giorni” e prosegue con “Percorsi di pace”, “Zulu meets jazz”, “Time in Jazz”. Vinodentro racconta il mito di Faust mediante la passione per il vino: protagonista è un grigio impiegato di banca che diventa uno stimato e famoso wine-writer a livello internazionale, per trovarsi poi invischiato in un’accusa di omicidio. Il commento musicale di Fresu consta di sedici brani eseguiti da un ensemble atipico, che unisce le esperienze post-bop del trumpet player e in quest’occasione anche valente compositore – coadiuvato da Daniele di Bonaventura, Michele rabbia e I Virtuosi Italiani – con l’inserimento di due brani di Mozart a confermano l’affetto del jazzista per l’immensa tradizione del mondo classico.