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ParmaJazz Frontiere 2014
Parma – 4.11/2.12.2014
Il prossimo anno sarà quello del ventennale di ParmaJazz Frontiere. E questa ricorrenza è già stata, in qualche maniera, inaugurata dagli ottimi risultati di pubblico dell’edizione da poco conclusa. Credo che sia opportuno partire da questo dato che dimostra che anche una rassegna votata alla musica di ricerca come quella parmigiana può attirare pubblico. In altre parole: non sono necessari i grandi e soliti nomi, le proposte risapute, per ottenere audience. È invece più opportuno, come ha fatto Roberto Bonati in questi anni, aprire il festival al Conservatorio, alle scuole di musica, ai club cittadini. Rendere una rassegna di jazz non un evento, ma una parte costante della vita culturale di una città.
Difficile dare conto in poche righe di una programmazione tanto vasta e articolata come quella di PJF 2014. Ci limiteremo qui a brevi cenni sui concerti principali, sottolineando però che la kermesse della città ducale ha proposto numerosi e validissimi concerti di giovani musicisti, a partire da quello del trio di studenti della Norwegian Academy of Music (con la giapponese Ayumi Tanaka al piano) che ha suscitato l’entusiasmo del pubblico presente. Notevole anche l’astratto, boreale lirismo del duo formato da Per Arne Ferner alla chitarra da Per Gunnar Juliusson al pianoforte
Questi ultimi due hanno suonato nella stessa sera dei Pericopes, duo oramai noto nel panorama non solo nazionale; qualcosa di più di una promessa. Il loro concerto (in particolare alcuni solo di Emiliano Vernizzi) ha dimostrato come questa formazione ha immensi margini di crescita.
Beppe di Benedetto ha presentato un suo interessante progetto, molto innovativo anche se del tutto legato alla tradizione jazz. Il trombonista parte dal presupposto che, la musica non può e non deve raccontare solo sé stessa; è invece, anche, una maniera per raccontare, sensazioni, stati d’animo, storie. Prima del suo quintetto si era esibito quello dei Minnessanger, (il nome evoca gli antichi Troubadours) tedeschi: un progetto nato dal gemellaggio fra le città di Parma e Worms. Il materiale proposto era basato proprio su antiche melodie della tradizione germanica.
Detto sommariamente ed incompletamente del grande sforzo della rassegna per dare spazio alle ricerche dei giovani musicisti occorre passare ai concerti principali.
Uri Caine e Han Bennink hanno felicemente tramortito il pubblico con uno spettacolo di pirotecnia sonora.
Il loro duo ha evocato atmosfere arcaiche, le barrellhouses, le battaglie sonore, avvolte nel mito, dei primi jazzmen. Bennink ha suonato di tutto: dalle tavole del palcoscenico ai suoi scarponcini. Musica degli oggetti, musica delle origini, con il piano di Caine a cambiare continuamente umori e atmosfere. Una performance teatrale, oltre che musicale, entusiasmante, che ha messo a nudo la carne viva e lo spirito libero del jazz.
Il più bel concerto della rassegna è stato quello dei Jokleba, straordinario trio norvegese formato dal pianista Jon Balke, dal trombettista (e vocalist) Per Jorgensen e dal batterista Audun Kleive. Una performance straordinaria quella dei tre ; una lunga suite, un viaggio musicale e poetico nei suoni e nei silenzi del paesaggio del grande deserto del nord. Non un solo minuto del concerto è andato sprecato, nel senso che i tre hanno sempre tenuto desta l’attenzione del pubblico. Balke e Jorgensen hanno fatto risuonare canti senza tempo. Gli effetti elettronici, pur molto misurati, suggerivano antiche organi, armoniche a bicchieri, campane solitarie, organetti di strada Il tutto senza un microgrammo di retorica, senza effetti gratuiti. Un lungo poema, concluso dal suono del mare che Kleive ha fatto nascere dal suo rullante (Straordinario il lavoro di questo batterista che ha cucito magistralmente le narrazioni dei partner). Luca Vitali, del quale era stato presentato il libro Il suono del Nord qualche sera prima, assicurava, al termine del set, che Jokleba aveva suonato in maniera particolarmente ispirata ed insolita. D’altronde il feeling fra ParmaJazz Frontiere e la musica norvegese è antico e profondo. Non a caso l’ambasciata norvegese figura fra gli sponsor della rassegna… e riflettiamo pure sul fatto che ci sono paesi che investono sull’arte e la musica per promuovere la loro immagine.
Concerto splendido quello del trio, ma suonato davanti ad un pubblico troppo esiguo. A differenza della performance di Steve Coleman che ha riempito un teatro cittadino. Molti appassionati sono stati un po’ delusi dall’esibizione dei Five Elements, il quartetto del sassofonista di Chicago e composto da Jonathan Flayson alla tromba, Anthony Tidd al basse elettrico, Sean Rickman alla batteria. Il gruppo ha suonato una musica incalzante ed ipnotica, dichiaratamente oltre la nozione tradizionale di jazz. La proposta pur ricca di energia, è apparsa spesso poco coinvolgente, un po’ ripetitiva. Certo, nella memoria rimangono certe sequenze di nobile ed essenziale lirismo, alcuni squarci danzanti, lo scat (non improvvisato) che ha chiuso il set in un’atmosfera d’Africa, ma il risultato finale è stato inferiore all’impegno e alla vitalità profusi dal gruppo.
Qui nasce la riflessione su come un nome americano riesce quasi sempre a coinvolgere il pubblico più di una proposta europea. Discorso lungo, forse spinoso, su cui tutti quelli che amano il jazz dovrebbero però riflettere seriamente.
Il trio di Roberto Dani, Roberto Bonati e Misha Alperin è stato un altro momento saliente del Festival. I due musicisti italiani hanno una lunga consuetudine a suonare assieme, ma era la prima volta che salivano sul palco con il maestro Ucraino, oramai norvegese d’adozione, al suo rientro, peraltro, dopo una lunga e grave malattia. Il pubblico ha percepito, in qualche passaggio, queste difficoltà. Il meccanismo del trio non era perfettamente scorrevole. Ma la bellezza del suono del contrabbasso, un paio di assolo di Dani, capace di ieraticità come di sonorità guerriere, certe sequenze di Alperin che facevano pensare alla sognante leggerezza dei quadri di Chagall hanno conquistato tutti. Ed alla fine gli applausi, per quella che Bonati ha definito una festa della musica e della guarigione, sono stati scroscianti e commossi.
Annotazione finale ma non secondaria il festival è stato dedicato alla memoria di Giorgio Gaslini. Il Maestro milanese sarà commemorato da ParmaJazz Frontiere, nei prossimi mesi con un progetto dedicato.