Dodicilune Dischi – Ed 332 – 2014
Nicola Andrioli : pianoforte
Fabrizia Barresi : voce
Matteo Pastorino : clarinetto
Hendrik Vanattenhoven : contrabbasso
N/A String quartet:
Lucile Buffet : violino
Julien Rommelaere : violino
Fayçal Cheboub : viola
Bénédicte Legrand : violoncello
La pratica del free-style, ove sia intesa come libera esplorazione affrancata dai rigori delle appartenenza di genere, genera espressioni che senza ardire a disinnescare le meccaniche della forma si esplicitano in più casi all’insegna di condivisione e godibilità.
Nel caso vi siano nei propri glossario ed arsenale multiple dotazioni linguistiche, come nel caso del pianista brindisino, di doppio passaporto classico-jazz e d’ibride percorrenze, le risultanti sonore possono disvelarsi prive d’artificio ed ingrate macchinazioni, mantenendo primariamente l’imprinting di musicalità e comunicativa.
Così, «al di là delle catalogazioni, ma profondamente immerso nella cosmogonia dei suoni e delle risonanze armoniche» (come le autoriali note confermano), nelle espressioni vitali, e nelle sonore trasvolate che conferiscono vita a Les Montgolfières, appare dominante, e pur variamente espresso, «un solo grande flusso di felicità ed espressione» che impronta stile e progressioni contemplative in una successione di stanze d’ampio respiro cantabile, roride di una spazialità cameristica magnificata e innervata dagli stimolanti inserti micro-orchestrali dell’impetuoso e sintonico quartetto d’archi.
Con una dominante strutturazione cameristica, nervosa, capricciosa all’occorrenza, non ignara della dimensione del volo, «l’affabulazione dei testi musicati che raccontano e mettono in scena storie e personaggi originali» trova grande complemento espressivo nella vitrea, vibrante drammatizzazione del cantato di Fabrizia Barresi, operosa esploratrice vocale con calibrato senso espositivo, ma anche e con naturalezza nelle arabescate interpunzioni del clarinetto e nelle incursioni ritmico-melodiche del contrabbasso, e ancora nelle figurazioni da tappeto mobile dei quartettisti d’arco.
Pervaso in tutte le proprie estensione da una fresca corrente gemmante dal primo Novecento, imbevuto di contrasti intra-melodici talvolta velato, ma più spesso pervaso da una diafana atmosfera onirica e sospesa, l’album privilegia ed affresca una dimensione dall’intimismo domestico, di costruttività neo-classicista ma d’istinto figurativo che recupera con cognizione e cultura del medium strumentale tratto e sensibilità antica, non antitetiche né ostative ad un’ampia e fluida espansione linguistica, su cui aleggia uno spirito teatrante e d’istinto rappresentativo.