Intakt Records – CD 236 – 2015
Fred Frith: chitarra
Barry Guy: contrabbasso
L’improvvisazione è – o dovrebbe essere – costruzione urgente e libera dal vincolo della stabilità: ma ciò non necessariamente si accompagna volubilità o vacuità discorsiva.
Momento che, con carattere, inaugura discograficamente il 2015 (in realtà risalente ad una session del 2007) Backscatter Bright Blue si dichiara «sillogismo musicale che è la risultante di due vite musicali assai differenti: essendo il medium dell’improvvisazione collaborativo, e reciproco l’ascolto, la risultante è un’estensione delle tecniche individuali, in una movimentata elaborazione di possibilità».
Dinamico opificio dell’istantaneità, libero dalla visione strategica e febbrilmente concentrato nell’exploit tattico, pervaso da tensioni che mai abbassano la guardia sul piano della sorpresa reciproca ed oggettiva, in “intima” e auto-confessionale dualità che riunisce (sembrerebbe per la prima volta in tale soluzione) un Fred Frith, protagonista che ha trasceso l’identità (non certo marginale) di uno tra i padri naturali del Canterbury-sound per stagliarsi a guru di un’avant-garde mai dimèntica delle posizioni di trincea, e un attivissimo campione dell’euro-free (con notevoli, costruttive incursioni avant-antiqua) mai uso a sostentarsi di rendite quale si conferma Barry Guy (che per l’occasione tributa valore seminale alla prima incisione di contrabbasso-solo di Barre Philips).
Ennesimo esempio e campione di come certe performance, estreme e insieme “naturali”, séguitino nell’innervare un filone palesemente sempre vitale, lo show-room degli alieni giocattoli, variamente risonanti e dalle meccaniche sempre in divenire, qui si scandisce oltre le “personae” del corposo strumento, abile a librarsi dal suo elevato, specifico peso acustico per delaminarsi in trasparenze e ariosità, di concerto con il potenziale assai ampio, ora acqueo, vetroso ora agglutinante e violento delle sei corde, nelle incontrollate fattezze di un doppio, vuoi multiplo sistema di corde ad interscambio identitario, di fluidità urticanti ed osmosi scabrose.
Non si può che confermare coraggio e progettuale caparbietà da parte dell’etichetta elvetica, che permane salda in un’avanguardia attivamente sostenuta da una cordata di labels (PiRecordings, CleanFeed, NoBusiness tra le prime che potremmo citare a memoria, senza dimenticare la consistente manciata di analoghe realtà nostrane) assai motivate nel farsi sistema e vettore culturale delle espressioni sempre libere del suono d’incontro e della fenomenologia istantanea.
Fidando non soltanto nel facile gioco dei navigati coprotagonisti, inattaccabile duo calato a nudo ma certamente armato di virtuosismo estremo ed ulteriore, la densa esperienza in forma di contrastato patchwork sonico, scandito lungo passaggi di varia sinergia e discorsività, con vari umori e spunti contribuisce a guidarci entro una diversa logica linguistica, disponendoci all’ascolto dell’urgente e instabile costruzione di sorprese, come dovrebbe essere – e in mani libere e determinate è – l’improvvisazione.