CamJazz – CAMJ 7882-2 – 2014
Paolo Porta: sax tenore, clarinetto basso
Valerio De Paola: chitarre, elettronica, voce
Andrea Lombardini: basso
Michele Salgarello: batteria
Secondo album per questo giovane quartetto pianoless dopo il precedente Pleasures, uscito per l’etichetta Auand Records.
L’idea primaria di questa band è di sfuggire alle etichette e di non si lasciarsi incanalare facilmente in un genere. Dodici tracce originali, scritte per la maggior parte dal chitarrista Valerio De Paola e dal bassista Andrea Lombardini, a cui si aggiungono due brani a firma del sassofonista Paolo Porta.
La vivacità e freschezza denotano l’intero album che strizza l’occhio al pop ed al rock con piccoli incavi di elettronica usata in maniera consapevole e non invasiva. La si potrebbe definire “fusion” ma anche noi cadremmo nel tranello delle etichette.
I riferimenti stilistici sono innumerevoli e anche le volontà timbriche spaziano e guardano al passato, un esempio tra tutti la batteria di Salgarello ed il basso di Lombardini molto anni ’80 (Yellow Girl). L’intero progetto è costellato di suoni del passato in un turbinio di rock, alternative rock, rock progressive, indie rock, post-punk, funky, pop, new wave, etc.
Come ricorda il batterista nelle note di copertina: «PoLO non prende decisioni a caso. Tutto è calcolato. Il nostro scopo è fondere scenari di diverso tipo in uno stile, un’identità.»
Un identità multipla e sfaccettata ma non univoca che abbraccia stili, epoche e atteggiamenti differenti.
Il sassofono di Porta è nervoso e veloce, De Paola costruisce linee melodiche semplici e intatte con un uso impercettibile dell’elettronica. Lombardini si diverte a sperimentare diversi effetti per basso, in particolare il chorus, scordandosi di reggere la pulsazione ritmica e guardando oltre.
Si parte con Eggplant che con l’inizio di chitarra acustica ci riporta al prog rock ma con l’entrata del sassofono le dinamiche si confondono.
Owl è molto divertente con suggestioni rock che ricordano il Seattle sound e la chitarra sporca e corrosiva di De Paola che occupa il posto d’onore.
Se Mirror, unica traccia non strumentale, canta De Paola, denota la voglia di tutto l’album di avvicinarsi ad atmosfere pop, Back Home ci riporta alla dimensione più jazzistica. Come ricorda sempre Salgarello nelle note di copertina: «[…] L’estetica è quella jazz».
In definitiva un album piacevole, sincretico, figlio della post-modernità musicale che tenta di abolire i generi per rileggere in maniera spregiudicata e ironica la musica in tutte le sue declinazioni.
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