Da Alyn Shipton a Berendt-Huesmann

Foto: Joachim-Ernst Berendt intervista Albert Mangelsdorff










Da Alyn Shipton a Berendt-Huesmann

Un omaggio a due storie del jazz


«L’opera di Shipton si pone invece come saggio storiografico moderno, capace di valutare con sguardo d’insieme gli oltre cento anni di storia del jazz. L’autore si propone per questo compito dall’alto del suo pluridecennale lavoro come critico di prestigio per Time e giornalista radiofonico con la BBC, mettendo in campo quel certo allure tipico degli storici inglesi, che consiste nel coniugare il rigore scientifico con una brillante esposizione». Così scrive, tre anni fa, Franco Bergoglio nel suo blog, Magazzino Jazz, a proposito del volume Nuova storia del jazz di Alyn Shipton che Einaudi ora ripropone in versione pocket, ovvero economica, mettendo a disposizione di quasi tutte le tasche (soprattutto giovani e studenti) un testo davvero notevole che per ricordarne ancora l’attualità, viene ora affidato a un progetto differente dalla solita recensione (di cui su Jazz Convention è già oggetto all’epoca dell’uscita della prima edizione italiana rilegata).


E lo stesso discorso vale per un’altra poderosa opera storica quel Jazzbuch che vanta il primato di libro più venduto nella storia del jazz, benché sia tedesco e non americano. Scritto da Berendt nel lontano 1953 e più volte da lui stesso aggiornato, si avvale ora dopo la morte dell’autore (il quale peraltro già dal 1980 abbandona lo studio del jazz per un trauma familiare) di altro critico in linea con la tradizione ed ecco Il libro del jazz dal ragtime al XXI secolo a nome di Joachim-Ernst Berendt e Gunther Huesmann edito da Odoya, che risulta molto ben aggiornato fino al 2005 (anche nella discografia). «La sottile diramazione stilistica, la crescita costante, lo scambio reciproco tra gli artisti rendono il jazz un’eccitante avventura musicale (…) Mi sono sentito in dovere di mantenere il più possibile lo stile di Berenditemi compiaccio di come intere parti del libro (…) non siano state cambiate affatto o comunque in maniera davvero minima». Così Huesmann a proposito dell’aggiornamento.


Per omaggiare sia Shipton sia Berendt/Huesmann ecco un omaggio effettuato dai jazzisti di oggi, pescando da alcune recenti interviste (tuttora inedite e realizzate dal sottoscritto tra il 2010 e il 2014) la definizione che essi stessi vogliono dare della musica jazz. La scelta – qui compilata in ordine alfabetico – ricade quindi su dieci jazzmen americani di comprovata importanza storica (non a caso quasi tutti citati da Shipton nel suo libro) e altresì rappresentativi dell’eterogeneità, della vivacità, della particolarità di questa musica per età, stile, epoca, cultura, etnia, impegno, personalità e altro ancora.



Theo Bleckmann


Naturalmente, la prima cosa che mi viene in mente quando sento la parola jazz è la musica jazz del periodo d’oro della Blue Note, chiaramente identificabili come “jazz”. Oggi, però, la musica jazz è un rifugio . Si tratta del tipo di musica che può contenere tutti i nostri desideri e le aspirazioni creative. Nel suo cuore, il jazz risulta sia composto sia improvvisato, quasi a riflettere lo ying e lo yang della struttura contro il caos. Al suo meglio, anche per i musicisti che lo suonano, i confini di ciò che è casuale e ciò che è predeterminato possono fondersi così tanto da diventare una cosa sola: un vero riflesso dell’universo.



Don Byron


Il jazz è l’insieme di abilità che permette alla musica popolare di avere fatto strada in modo educato e non casuale. Non è una battito, uno stile di vita, un insieme di persone specifiche . Non per me. Io nel jazz includo la free music, anche se io non sono un fan dell’improvvisazione completamente gratuita come un idioma unico.



Michael Camilo


Il jazz sfida continuamente l’artista creativo nella ricerca di nuove idee, che siano sensazioni, emozioni e soluzioni espressive, al fine di contribuire a perfezionare l’arte dell’improvvisazione. È come si stesse scrivendo sempre una nuova composizione ogni volta che si suona un “assolo”. Questa composizione istantanea (o improvvisazione ) è ciò che noi chiamiamo il ” fattore di rischio ” ed è ciò che più mi ha attratto nel diventare un musicista jazz .



Terri Carrington


Il jazz non è una categoria specifica come sostiene Wayne Shorter. È semmai una musica multi-direzionale come ribadisce Jack DeJohnette. E ho fatto un CD parlando di questo mistero chiamato jazz, che forse è uno spirito, come dice Abbey Lincoln



Helen Merrill


Credo che la parola jazz ha più significato oggi che nel momento in cui si stava sviluppando. Significato in un’accezione pubblica condivisa con un pubblico più ampio. La musica si è evoluta , per come dovrebbe essere. La parola jazz si è ampliata fino a significare cose che non sarebbero state considerate ‘jazz puro’.



Greg Osby


Il jazz è improvvisato ed è qualcosa che è a carico di una tradizione americana. Per me, rappresenta la vera e propria fusione di gli elementi ispirativi in un formato in cui i musicisti possono comunicare e ispirarsi l’un l’altro.



Jeremy Pelt


Credo che la parola “jazz” possa avere un forte significato e un senso profondo, ma purtroppo sta diventando un modo per essere trattati con onore da parte di chi studia e suona musica. Il termine viene spesso svilito, fino ad apparire insignificante, quando ad esempio decine di aspiranti artisti usano la parola jazz per attirare la gente e per farla pensare che la loro musica sia intelligente; e poi, non appena hanno un po’ di pubblico, suonano ciò che davvero vogliono suonare (di solito R & B o Pop). Quindi, in sostanza cercano di dimostrare che ” fanno Jazz” per farci pensare che provengono da un profondo background.



John Pizzarelli


Per me jazz è l’espressione di sé su una melodia. E lo collego all’improvvisazione, al ritmo e al tempo.



Lenny White


Per me jazz non è uno stile musicale, è la mia eredità. Mi è stato detto e mostrato come rappresentare la musica dei miei eroi che sono stati gli ideatori di una forma d’arte. È un obbligo morale raccontare la storia nel modo giusto .



Patti Wicks


Mi piace ascoltare molti stili del jazz. Se è improvvisato con onestà e con intelligenza ed è creativamente interessante, anche impegnativo, com’è un po’ di jazz d’avanguardia, mi piace. Jazz, per me, deve essere “vero”; cioè, la persona che vuole suonare o cantare dev’essere disposta a fare musica con il cuore e con l’anima, correre “rischi” musicali e anche essere impegnata a comunicare la musica al pubblico, dando il massimo sforzo creativo in ogni performance.