Roberto Ottaviano – Forgotten Matches. The Worlds Of Steve Lacy (1934-2004)

Roberto Ottaviano - Forgotten Matches. The Worlds Of Steve Lacy (1934-2004)

Dodicilune Dischi – ED334 – 2014




Volume 1

Glenn Ferris: trombone

Roberto Ottaviano: sax soprano

Giovanni Maier: contrabbasso

Cristiano Calcagnile: batteria



Volume 2

Alexander Hawkins: pianoforte

Roberto Ottaviano: sax soprano






Steve Lacy è una figura importante nella storia del jazz. Per i suoi incontri, per le sue idee, per la rigorosa coerenza, per la capacità di innovare dall’interno il linguaggio, per il modo di guardare avanti senza smarrire il senso e le motivazioni delle tradizioni. Roberto Ottaviano ha intrecciato spesso il proprio cammino con quello del sassofonista statunitense e, dopo la sua morte, si è fatto carico varie volte di raccogliere la sua lezione e la possibilità di partire dalla sua ricerca per approdare a nuove soluzioni.


Forgotten Matches, incontri dimenticati, rappresenta l’intenzione di fare ordine all’interno di questo rapporto. Un lavoro doppio e duplice realizzato con due formazioni differenti per interpretare la musica di Lacy e per interagire con essa. Nel primo disco un quartetto pianoless dove la frontline formata da Ottaviano e Glenn Ferris al trombone si confronta con la ritmica – propositiva e dialogante – costituita da Giovanni Maier e Cristiano Calcagnile; nel secondo, invece, Ottaviano insieme al pianista inglese Alexander Hawkins ragiona su brani composti o suonati o ispirati da Lacy.


La parola “matches”, in inglese prende diversi significati. Incontro, partita, fiammifero, comparazione. Forgotten Matches in questo senso provoca già dal titolo – e dalle splendide quanto malinconiche fotografie che appaiono in copertina – una riflessione su cosa abbia innescato Stive Lacy nella storia del jazz moderno. E, soprattutto, su quanto ancora possano innescare le sue composizioni e la sua ricerca nel futuro del jazz.


Il primo volume guarda alle tante esperienze in quartetto senza pianoforte messe in piedi dal sassofonista e in particolare, vista la presenza del trombone, al rapporto con Roswell Rudd, a un disco come Early and Late da cui, ad esempio, provengono The Rent e Bookioni. Undici brani del primo volume su dodici – ad esclusione vale a dire della sola That’s For JJ (Dedicated to the late Jean Jacques Avenel) a firma collettiva – sono composizioni di Lacy. Una sessione svincolata da stereotipi utilizza con atteggiamento libero e aperto i temi del sassofonista per una conversazione paritaria a quattro voci, giocata sulle combinazioni dei suoni, sulle intenzioni sempre stimolanti del materiale originale, un materiale capace di provocare situazioni non consuete, di lasciare una traccia con il suo passaggio, un materiale utile a focalizzare e rendere evidenti il pensiero musicale del suo autore e capace di “costringere” gli interpreti a non rimanere su un comodo punto di equilibrio.


Ottaviano e Hawkins nel secondo volume ripercorrono la passione di Steve Lacy per il duo e, in particolare il sodalizio tra il sassofonista e Mal Waldron. Un approccio urgente, anche furioso alle volte, sempre incalzante, libero ma mai sregolato, in equilibrio tra rigore, disciplina, rispetto del suono e pulsioni emotive. Il dialogo registrato in Forgotten Matches si coagula intorno ai temi e alle frasi a partire dal flusso – complessa, articolato, senza rete – delle improvvisazioni. Lo spirito che, ad esempio, Lacy e Waldron riportano in Let’s call this esteem, vale a dire fondare e sviluppare ogni movimento sulla profonda conoscenza delle tradizioni e sulla altrettanto solida sicurezza del punto di arrivo di ogni espressione e sperimentazione, viene preso come modello. Non si tratta – e non può trattarsi – di un omaggio tributato per mezzo dell’emulazione, si tratta invece di una ricerca condotta sul proprio modo di suonare e di intendere la musica, secondo trame e motivazioni già percorse dal sassofonista, riprese in maniera personale. L’omaggio è nel metodo, per dirla in una parola, l’omaggio è nella razionalità emotiva seguita con lucida profondità, nel percorrere una strada analoga ma poggiando i propri passi – anche e volutamente – al di fuori delle “orme dei giganti”.


In questo disco, sono due i brani proveniente dalla penna di Mal Waldron – What It Is e The Seagulls of Kristiansund – e si affiancano ad un brano di Hawkins, a tre brani nati dall’interazione tra i due protagonisti e Orange Grove è una composizione di Harry Miller e rimanda al contatto di Lacy con la scena sudafricana trapiantata a Londra. L’elenco serve a dare una visione concreta di come, sugli undici brani del volume in duo, solo quattro portino la firma del sassofonista e, quindi, a dare ulteriormente conto del ragionamento innescato a partire dalla musica e dalla figura di un grande del jazz del Novecento.


L’anno appena trascorso ha segnato il decennale della scomparsa di Steve Lacy. In effetti non sono stati moltissimi i festival e i progetti che hanno sottolineato la ricorrenza e, considerando che di norma ogni combinazione di date è buona per lanciarsi in celebrazioni, non è stato un bel segnale. Registrato ad agosto e prodotto alla fine del 2014, il lavoro di Ottaviano offre al pubblico la possibilità di una riflessione sul sassofonista statunitense.


In realtà, oltre alle due prospettive esplorate in Forgotten Matches, Ottaviano lavora da tempo anche su altri progetti legati a Steve Lacy – come, ad esempio, il trio con Giorgio Vendola e Enzo Lanzo proposto al Talos Festival dello scorso settembre – e non è difficile immaginare come il doppio disco appena pubblicato – del tutto compiuto in sé – vada a costituire un ulteriore passo del suo rapporto con la ricerca e la filosofia musicale di Lacy.



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