Marco Colonna @ Casa del Jazz, Roma

Foto: Francesco Tromba










Marco Colonna @ Casa del Jazz, Roma

Roma, Casa del Jazz – 27.2.2015

MC3

Marco Colonna: clarinetto basso, clarinetto e sax baritono

Fabio Sartori: organo hammond, pianoforte

Stefano Cupellini: batteria



MC UNITY

Marco Colonna: clarinetto basso, clarinetto e sax baritono

Danielle Di Majo: sax alto, sax soprano

Caludio Martini: fagotto

Fabio Sartori: organo hammond, pianoforte

Stefano Cupellini: batteria

Questo concerto parte da lontano. Per anni l’MC3 è stato in un certo senso la resident band del jazz club romano 28 Divino. Grazie a questo spazio e ai proprietari Marc Reynaud e Natacha Daunizeau, Marco Colonna ha potuto perfezionare e sviluppare a pieno il suo talento. Oggi il 28 Divino ha deciso di fare un passo in più e investire creando un’etichetta discografica, la 28 records, con la quale ha prodotto il disco live dell’MC3. La presentazione si è svolta alla Casa del Jazz che dopo un periodo di difficoltà sembra essere tornata in attività.


Riempire la sala è tutt’altro che scontato (anche io avevo qualche dubbio in merito), ma Reynaud e compagni sono riusciti a stimolare il pubblico che ha occupato tutti i posti disponibili in sala.


Veniamo alla musica però, che è la base fondante della serata. Il trio di Marco Colonna è rodato da anni, grazie al 28 Divino e alla bravura dei tre interpreti. L’interplay è quasi perfetto, le composizioni sono originali, mai banali e per nulla ripetitive. Ciò che più mi ha impressionato e mi ha fatto riflettere nei giorni successivi sono i “solos” degli strumenti a fiato e quella parola che dà il nome al trio allargato MC UNITY. La memoria corre subito a Spiritual Unity di Albert Ayler, lavoro di una mente avanguardista e troppo spesso dimenticata. Come Ayler, Colonna parla con il suo strumento e lo fa esprimere in prima persona, è come se la sua sagoma, la sua barba e i suoi occhialetti rossi scomparissero e ci si ritrovasse difronte ad un clarinetto basso, un sax baritono, un clarinetto che suonano da soli dicendo la loro. L’ascolto e la fruizione di questi solos può risultare difficile ad un pubblico non abituato ma dal mio punto di vista sono la forza e la caratteristica principale dell’artista (ascoltate il brano The Joyful breath of Dragon).


É free jazz ma non solo. Ci sono sempre una tensione ed un’energia di sottofondo che guidano i brani, spesso frenetici, e che ti arrivano addosso da tutti i lati, con in più un groove che guida la macchina musicale e tiene ben saldi a terra i piedi degli ascoltatori.


La seconda sorpresa è il fagotto di Claudio Martini. Non avevo mai pensato a questo strumento come adattabile al jazz, e invece la capacità di Colonna è quella di riuscire ad integrarlo a pieno nella maggior parte delle sue composizioni. Unica critica riguarda il timing e la fluidità del dialogo con il fagotto stesso. Si è notata qualche piccola insicurezza ma tutto sommato il risultato è stato molto buono.


Due composizioni mi hanno colpito in maniera particolare: Not enough Land to contain the Blood e Our Ground. La prima dedicata ai morti innocenti del conflitto tra israeliani e palestinesi, parte come una marcia funebre dove la liricità e la solennità del fagotto mettono i brividi. Successivamente il flusso musicale si trasforma, recupera energia, rabbia e cattiveria. Il sax baritono con dei suoni distorti e poco lineari si fa portavoce di una sorta di disperato grido d’aiuto. Infine torna la base da marcia funebre e il sax soprano disegna delle linee melodiche ampie e malinconiche, come a far presente che bisogna rassegnarsi e nulla cambierà mai.


Our Ground è il manifesto della band: tensione melodica, energia, groove e carattere in ogni fraseggio.


Questa band e questa musica meriterebbe sempre questa cornice di pubblico ma il prezzo da pagare per essere originali, oltre che sperimentatori, è questo: a volte ci si sente soli. Non questa sera, non il 27 febbraio alla Casa del Jazz perché la sala è piena per ascoltare Marco Colonna in trio e in quintetto.



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