Bangalore, un nome esotico per il nuovo disco del gruppo D’Agaro/Mella/Rivagli

Foto: la copertina del disco










Bangalore, un nome esotico per il nuovo disco del gruppo D’Agaro/Mella/Rivagli


Bangalore è un disco di “larghe vedute” e dalle ascendenze esotiche. La musica che racchiude non è altro che il risultato delle tre personalità che l’hanno forgiata: Daniele D’Agaro, Aldo Mella ed Elio Rivagli. Siamo di fronte a un progetto che ingloba in sé brani originali e cover rilette con spirito moderno e originale. I tre suonano all’unisono, perfetti come un orologio, e ligi a un’idea d’improvvisazione che è connaturata nel loro dna di jazzisti dallo sguardo che non tollera confini e barriere, che spazia dal jazz al blues all’avanguardia, filtrata, quest’ultima, attraverso il settaccio di latitudini etniche che tagliano trasversalmente musiche e culture. Aldo Mella, in questa occasione portavoce del trio D’Agaro-Mella-Rivagli, ci parla di un disco intrigante, vivace, sorprendente nella sua diversità propositiva e suonato “come si deve”.



Jazz Convention: Il trio D’Agaro/Mella/Rivagli nasce nel 2013. Cosa vi ha spinto a formare il gruppo?


Aldo Mella: Come ogni tanto succede, il progetto del trio è nato un pò casualmente. Mi venne chiesto di fare una serata in una piccola rassegna con la richiesta specifica di invitare un sassofonista. Con Daniele era da tempo che si pensava di fare qualcosa insieme, e quella fu l’occasione giusta. Nel frattempo io e Elio, che ci conosciamo da quasi quaranta anni, avevamo ripreso a vederci e suonare insieme… et voilà, il gioco è fatto! La serata andò molto bene, e da lì partì l’idea di concretizzare il progetto.



JC: Ognuno di voi viene da esperienze e collaborazioni diverse. In che maniera siete riusciti a fondere le vostre “culture musicali”?


AM: Devo dire che questo aspetto non mi ha mai preoccupato particolarmente. Elio, per esempio, che ha fatto delle scelte legate al cosi detto mondo della pop music è un musicista straordinario, e sentendolo suonare nel trio penso che a nessuno verrebbe in mente di trovare differenze rispetto ad altri batteristi riconosciuti come tali nel mondo più prettamente jazzistico. Daniele ovviamente ha un’esperienza più legata al mondo della musica improvvisata, e direi anche quello avanguardistico, visto le sue collaborazioni soprattutto nel suo periodo olandese.



JC: Il disco si chiama Bangalore ed è il nome di una composizione di Charlie Mariano, jazzista che hai conosciuto molto bene…


AM: Anche questa scelta è stata un pò casuale. Quando cominciammo a pensare a un repertorio, io proposi di eseguire questo brano di Charlie Mariano che ebbi il piacere di suonare con lui durante alcuni concerti in Piemonte. Mariano era una persona veramente squisita, un vero signore. Aveva ormai ottanta anni ma suonava ancora come un ragazzo di trenta. Bangalore appartiene ovviamente al periodo in cui Mariano collaborò con musicisti indiani e registrò diversi dischi con loro. Dopo averlo registrato con il trio, con il tema all’unisono contrabbasso e clarinetto, abbiamo pensato naturalmente che poteva diventare anche il titolo di un’eventuale cd, perché penso che rappresenti appieno le sonorità del trio .



JC: Bangalore è un lavoro di jazz ma che non trascura i suoi “dintorni”. È questa la vostra idea di jazz, oggi?


AM: Nonostante abbia frequentato per anni il mondo del bop, personalmente non mi sento particolarmente un musicista con quell’idea di jazz. Amo suonare in quattro (walking), ma mi piace pensare a una musica più ampia e contaminata. Penso di parlare anche a nome dei mie compagni di avventura. E in realtà sentendo il cd ci si accorge facilmente di questa visione che contiene all’interno soprattutto le nostre esperienze e il nostro personale concetto di vivere la musica. I molti anni con D’Andrea mi hanno sicuramente aiutato a non porre limiti a ciò che si può suonare pur mantenendo sempre vivo il linguaggio improvvisato, fondamentale e determinante nella musica jazz.



JC: Il disco contiene otto tracce che vanno da Leadbelly a Sean Bergin, passando per alcune vostre composizioni originali. Ci puoi commentare brevemente perché tale scelta e i singoli brani?


AM: Come dicevo all’inizio, ognuno ha portato dei brani per poter compilare una scaletta per i concerti dal vivo, che è servita in studio con una scrematura, a scegliere le tracce da registrare. Con Elio poco prima di andare in studio abbiamo abbozzato delle idee che poi ho sviluppato a livello melodico e che sono diventate alla fine tre brani del cd, esattamente Fafa, Elda Olio e Grofs. Haiti era una mia composizione di qualche anno fa, e devo dire che personalmente lo trovo uno dei brani più ispirati dell’intero lavoro. Ovviamente anche Daniele ha attinto dal suo repertorio originale e collaborativo e da lì la scelta di Rotie del sassofonista sud africano Sean Bergin, con cui aveva collaborato in passato, come per Dick’s Holler di Leadbelly, brano del 1911 che ama particolarmente. Il disco finisce poi con una ballata scritta da D’Agaro il cui suono riporta immediatamente ai grandi tenoristi degli anni trenta e quaranta. Direi comunque che quello che ha guidato in modo determinante le scelte dei brani è senza dubbio stata la sonorità che emergeva da ogni traccia ed il risultato musicale. Della title track Bangalore ne ho già parlato in precedenza.



JC: Quanto spazio occupa l’improvvisazione in Bangalore?


AM: Direi una buona parte. Il cliché del lavoro non si discosta molto dalla classica esposizione del tema seguita dall’improvvisazione, ma sicuramente con un linguaggio più moderno del bop e con spazi legati alla modalità e atonalità.



JC: Copertina del cd di alto profilo artistico e label statunitense…


AM: La pubblicazione per la ninetyandninerecords, che in realtà è per metà americana e metà serba, è nata dall’amicizia nata qualche anno fa quando suonai con Stanley Jordan al Festival di Ni. In questa occasione conobbi il pianista Dejan Ilijic che è il cofondatore dell’etichetta. Qualche tempo dopo mi scrisse proponendomi di pubblicare un mio progetto, e visto che qualche mese prima avevamo registrato con il trio, ho pensato di mandargli a sentire quello che poi è diventato Bangalore, e da lì l’inizio della nostra collaborazione. La copertina è di Giuseppe Solinas (in arte Scerbo), pittore giovanissimo e a mio avviso bravissimo. Egli è anche proprietario di una piccola enoteca (dove tra l’altro si fa musica). Fu proprio in occasione di un concerto del trio nel suo locale che nacque l’idea di usare un suo quadro per la copertina del cd. Dopo averne visti alcuni, non esitammo nemmeno un attimo a decidere che sarebbe stato “Soffio” il dipinto giusto.



JC: Nel futuro di D’Agaro/Mella/Rivagli ci sono altri progetti?


AM: Per ora vorremmo riuscire a portare in giro il trio dal vivo, anche se devo constatare che è sempre più difficile promuovere lavori e progetti che all’interno non abbiano partecipazioni blasonate, soprattutto all’interno dei festival e delle rassegne. In seguito cominceremo a pensare ad un’eventuale prossimo cd, ma senza fretta!



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