ECM Records – ECM 2434 – 2014
Nils Økland: hardanger, violini
Per Steinar Lie: chitarre
Ørjan Haaland: batteria
Dal lato settentrionale delle cose, perfino l’aggettivo “estremo” (e derivazioni) è da considerarsi se non relativo, almeno in parte “diversamente inteso” – non è però di primaria urgenza, da parte del consistente trio in oggetto, gettare il cuore (né i limiti della forma) oltre l’ostacolo dello stilistico status quo. Non fosse che almeno per le personalità artistiche di Lie e Haarland, tra gli animatori della band norrena The Low Frequency In Stereo (che aveva episodicamente coinvolto il violinista Økland in guisa di ospite), comprendiamo di trovarci entro un contesto acustico e culturale fortemente impregnato di segni e traiettorie pop-rock, segnatamente devo(lu)to alle sue frange più psichedeliche e senza pelle.
Il progetto Lumen Drones intende comunque nelle sue intenzioni aggiornare ulteriormente le esperienze in singolo e d’insieme dei suoi paritari componenti, vivendo con peculiari innesti del respiro naturale conferito e infuso dalle verdi note e lignee notazioni di un Nils Økland in corretta forma e in nitido stato ispirativo, a fungere da complemento dinamico nelle sue timbriche parzialmente aliene (per quanto la voce violinistica non lo fosse più di tanto sugli agitati, fiammanti palcoscenici della Golden Age del pop più trasversale e curioso) all’ispido sound, verace per ripresa stilistica, dei due partner, più cospirativi nelle loro industriali e post-moderne macchinosità.
Dalle semplici solennità dell’introduttiva Dark Sea, immediatamente si trasfondono in Ira Furore increspature elettriche che acquisiscono un costante sopravvento nelle brucianti ondulazioni del soundscape, per la più parte del programma in dinamico equilibrio tra i clangori del metallo e l’incedere macerato entro le fumogene cortine atmosferiche di un vissuto post-rock (i riferimenti a pelle comprenderebbero istantanei richiami a Iron Butterfly, Velvet Underground o quant’altro pervasivo modernariato delle memorie pop) – così dunque, nella sequenza rappresentativa, lo spiritato, febbrile bolero in Echo Plexus, le oniriche sospensioni di Lux, il risveglio post-letargico della contemplativa Husky, le dissoluzioni dell’Ego nell’incorporea Keelwater, fino alla ripresa dei climi garage-rock nella tranciante Svartaskjaer.
Con carattere, la “psychedelic drone band” metabolizza una trasversale memoria pop attraverso una urticante corrente di sensibilità nordica, nell’insieme piuttosto filante per sedimenti della memoria e, avventuroso e scabroso nelle timbriche, Lumen Drones traccia un pulsante continuum dalle più incontenibili trasgressioni dei Fifties alle meno accademiche vedute avant-garde.
Dinamico fronte di sintesi tra le acustiche verdi e labirintiche di Økland e la corrente propulsiva dei due strumentisti esplicitamente più rocker, il trio conferisce forma vitale ad una elettroacustica sognante, una psichedelia pugnace e una disturbante mistica sub-urbana con spiccata vocazione per macerato passo progressivo e improvvisazione corale.