Caligola Records – Caligola 2192 – 2014
Claudio Coianiz: pianoforte
«Non si può amare solo un periodo della musica, magari quello che più ci confà, ma tutta la musica, perché è sede della sensibilità e della civiltà di cui dobbiamo essere grati a tutti i nostri predecessori.»
Così si esprimeva in un’intervista di alcuni anni fa Claudio Cojaniz.
Il titolo spiega a sufficienza l’intenzione dell’artista, cioè quella di rendere omaggio alla grande tradizione del pianismo afro-americano degli anni ’20 e ’30, a un jazz che ancora si nutriva direttamente dalle radici ma che non era del tutto ignaro della tradizione classica europea.
Le storie del jazz sembrano confinare la vicenda degli striders in un’epoca molto delimitata. Cojaniz sembra suggerire invece che la loro influenza sia stata molto più densa di conseguenze e che sia ancora molto attuale.
Naturalmente non siamo in presenza di un omaggio di maniera, di uno sfoggio di virtuosismo tecnico (anche se la mano sinistra regala momenti davvero interessanti). Nelle dieci tracce del disco lo stride piano diventa una delle tante maniere che il jazz ha usato per manifestare la sua poetica intrisa di polvere e fango, di preghiera e carnalità, di terra e lontananza, quella “brutta meraviglia” celebrata da TheloniOus Monk in un branco che Cojaniz ha incluso in questa sua incisione. A questa funambolica tecnica pianistica si adattano la leggerezza di Bix, le pagine scabre di Monk, il lirismo blues di Mingus, ma si possono piegare anche temi come I Remember Clifford o When I Fall in love; ma può essere anche strumento di lettura di una melodia africana come Malaika (cavallo di battaglia di Miriam Makeba).
Il disco è quindi e tutto un continuo gioco di rimandi e di specchi, un viaggio libero della mente lungo le infinite suggestioni che il blues e il jazz sono ancora capaci di proporre. È un percorso nella poetica dell’indeterminatezza, dello spaesamento, della precarietà esistenziale che la musica afroamericana ha regalato alla cultura e alla sensibilità del ‘900.
Da notare come tutte le tracce siano state suonate su un piano totalmente concepito per la musica classica, uno Steinway C277, creando ancora di più un effetto d’indeterminazione particolarmente avvincente.
Cojaniz ha in preparazione un secondo volume. Sarebbe bello ritrovarvi anche qualche incursione nel ragtime, un genere che i pianisti contemporanei sembrano solo voler usare per far sfoggio di doti tecniche.