ECM Records – ECM 2397 – 2015
Cymin Samawatie: voce
Benedikt Jahnel: pianoforte
Ralf Schwarz: contrabbasso
Ketan Bhatti: batteria, percussioni
Martin Stegner: viola
Operazione composita e tenuta in equilibrio sulle motivazioni del canto. Cyminology è un quartetto di stanza a Berlino dove però convergono musicisti diversi per origini e tradizioni: la cantante Cymin Samawatie è nata in Germania da genitori persiani; il pianista Benedikt Jahnel è nato in Francia ed è cresciuto in Germania; il percussionista Ketan Bhatti è nato in India ed ha studiato nella capitale tedesca; il contrabbassista Ralf Schwarz è tedesco. Martin Stegner, anch’egli tedesco, è l’ospite scelto dal gruppo per aggiungere le sonorità della viola ai brani presentati nel disco.
La formazione giunge con Phoenix al suo sesto lavoro, il terzo per la ECM, in una sintesi estremamente serrata di riferimenti e influenze. Il primo incrocio evidente è quello riportato anche nell’intestazione della loro pagina web: poesia persiana e musica contemporanea da camera. Un continuo gioco di rimandi tra Europa e Medio Oriente, tra modernità e radici profonde, tra stili di musica differenti. Le suggestioni offerte dall’accostamento dei versi persiani e del suono della viola – presente, ad esempio, in Aaftaab, brano con cui si apre il disco – rivelano subito le intenzioni di Cyminology. Un lavoro basato su melodia e cantabilità, una tessitura ottenuta dalle connessioni strette tra le linee disegnate dagli strumenti, un discorso condotto in modo pressoché costante dal collettivo e giocato su spazi spesso ampi e rarefatti, su un’alternanza di contrappunti e risposte, dialoghi a due e aperture trasversali.
L’impasto, naturalmente, non si ferma – e non avrebbe senso se fosse così – ad un incrocio lineare e didascalico tra Oriente e Occidente. Soprattutto, occorre non commettere l’errore di pensare al primo come radice di partenza e al secondo come modernità. In primo luogo perché il quartetto ha ben presente anche il riferimento alla musica classica europea e, al contrario, la matrice orientale offre il traguardo per la “ricomposizione” delle tante diaspore stilistiche e musicali. Se in molte “contaminazioni” è stata utilizzata come ingrediente esotico, spesso decontestualizzato, se in altre esperienze di livello più profondo è stata considerata il punto di partenza valido e sostanzioso per procedere oltre, verso nuove modalità espressive o soluzioni innovative, Cyminology rimette al centro l’elemento orientale e lo tratta con pari dignità. Un lavoro spesso minimale, intimo, introverso, delicato: la musica di Phoenix richiede attenzione parlando sottovoce. Nel percorso ritroviamo anche echi e retaggi di musiche moderne, di tradizioni popolari europee, di improvvisazione libera: è difficile, in realtà, individuare riferimenti lasciati “isolati” dal quartetto, la combinazione è lo stimolo primario del lavoro alla base delle composizioni originali di Cymin Samawatie, coadiuvata di volta in volta dai suoi compagni di avventura (il solo Benedikt Jahnel porta al disco una composizione, Talaash Makon). Una scrittura che raccoglie e fa propri stimoli diversi, in maniera spontanea, vissuta, li lascia trasparire e riconoscere come a voler lasciare vedere le tracce del suo cammino e condividerle con l’ascoltatore.
Infine, la voce e le parole. Oltre a quelli scritti da Cymin Samawatie, i testi utilizzati provengono da due poeti persiani del Novecento, vale a dire Forough Farrokhzaad e Nima Yushi, e dal poeta mistico del dodicesimo secolo Hafez. La voce, pur nella dimensione collettiva del lavoro, si ritaglia un ruolo centrale: come si diceva in apertura, il canto diventa il perno intorno al quale ruota tutta la musica, intorno al quale tutto il meccanismo trova il proprio l’equilibrio, ribaltando così, per una volta, l’usuale prospettiva secondo la quale “i musicisti offrono il sostegno alla cantante”. La presenza magnetica della voce e la capacità di passare attraverso registri espressivi differenti, fanno il resto. Questo aspetto, però, non va enfatizzato oltre misura: la costruzione è davvero collettiva e la scelta di operare spesso per sottrazione rende essenziale ogni tassello presente nella musica. In qualche modo, il nome stesso della formazione afferma il concetto: un nome collettivo con l’accento sulla cantante, una formula utile per evidenziare la funzione centrale del canto nel contributo portato dai cinque protagonisti.
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