Vincenzo Martorella : Storia della Fusion

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Vincenzo Martorella: Storia della Fusion

Dai Weather Report agli Snarky Puppy: guida ragionata a una musica “inqualificabile”

Arcana Jazz, 2015


Diciassette anni dopo Vincenzo Martorella ripubblica il suo libro del 1998 sulla fusion, con una lunga postfazione che quasi raddoppia, opportunamente, il numero di pagine iniziali.


Il tentativo di sintetizzare, in meno di trecento pagine un fenomeno musicale tanto complesso e variegato qual’è stata la musica fusion ricorda molto la storia di Hendrick, il bambino olandese che provò a fermare l’alluvione che minacciava di travolgere il suo villaggio infilando il suo piccolo dito nella falla che si era formata nella diga vicina alla sua casa. Tentativo generoso ma anche riuscito, poiché il piccolo Hendrick riuscì a bloccare il flusso delle acque in attesa che i soccorritori riparassero il danno.


Martorella fece in quel libricino più o meno la stessa cosa. Tentò di capire cosa stava succedendo, provò a tappare le prime falle critiche, capì che il fenomeno non era, come sostennero molti commentatori, la pura e semplice degenerazione di un linguaggio jazz ideale (peraltro mai esistito dal momento che la musica afro americana è sempre stata un arte aperta al mondo circostante). Non era solo una “musica buona per sonorizzare le sale d’attesa di aeroporti e studi linguistici, quando non i film porno”. Era invece un’ondata di piena, mai del tutto ritiratasi, che si riversò sul linguaggio jazzistico, ridisegnando il paesaggi e confini. Oggi, per sintetizzare al massimo il complesso ragionamento di Martorella, non si parla più di fusion come genere ma nessuno si sogna d’ignorare l’importanza dei Weather Report e gli Yellow Jackets partecipano regolarmente ai festival jazz.


L’autore compì già nel 1998 una sintesi molto efficace del fenomeno fusion enucleando riflessioni importanti, prima fra tutte quella sulla musica afro-americana come terreno di coltura di molte possibili ibridazioni (Dallo spanish tinge di Jelly Roll Morton, al funky, al soul Jazz, da Horace Silver a Ray Charles, da James Brown a Quincy Jones). Anche il capitolo sull’importanza dell’avvento degli strumenti elettronici e le schede dedicate ai grandi gruppi e solisti (Weather Report con Joe Zawinul e Wayne Shorter, Yellow Jackets, Steps Ahead) sono tuttora molto interessanti e piene di spunti di riflessione. Giustamente Martorella non ha voluto cambiare, se non in alcuni criteri di editing, il contenuto di quella breve sintesi. Ripropone anche al lettore, quello che considera un suo errore: aver fatto nascere il fenomeno fusion con l’uscita di Heavy Weather che i Report, con Jaco Pastorius, pubblicarono nel 1977.


Nella seconda parte dell’edizione odierna, Martorella fa ammenda di quell’enunciazione e suggerisce nuove strade di lettura. Quel disco “…era troppo peculiare per poter fare genere. Troppo originale per fare scuola – …troppo geniale per lasciarsi copiare… non poteva essere preso a modello di un percorso stilistico iniziato addirittura prima (Ecco il vero errore) e proseguito poi in mille diverse reincarnazioni, interpretazioni, declinazioni.”


L’autore dedica anche, in questa postfazione, pagine davvero interessanti allo Smooth Jazz e a fenomeni deteriori come quello di Kenny G. Ritorna anche sugli Yellow Jackets, sui Weather Report, su Michael Brecker e approfondisce la sua riflessione su Jaco Pastorius. Si occupa di Joni Mitchell e di gruppi della nuova scena della fusion, di David Linx (Molto belle dal punto di vista letterario le pagine dedicate al cantante belga) e di tanto altro.


Sono 280 pagine densissime quelle scritte da Martorella, ricche d’informazioni e di suggestioni critiche elaborate in una scrittura che riesce sempre gradevole senza perdere in profondità. Un libro certo non definitivo (la materia lo vieta e la fusion resta “inqualificabile”) ma davvero importante.