Improvvisatore involontario – II0042 – 2014
Costanza Alegiani: voce, conduzione
Jan Daelman: flauto
Thijs Troch: pianoforte
Ben De Greef: sax contralto
Thomas Jilings: sax tenore
Daniele Cappucci: contrabbasso
Armando Luongo: batteria
È quasi scontato definire Fair is foul and Foul is fair un disco inconsueto, anomalo nella produzione corrente del jazz o di musiche assimilabili, nel panorama nostrano. Altri cd possono essere etichettati nella stessa maniera ma, sovente, oltre ad una apparenza, ad una forma insolita non si scoprono, oltre la superficie, contenuti e significati di peso e di rilievo. Qui questo non accade. L’album custodisce, infatti, una valenza progettuale, uno spessore di fondo che informano tutte le tracce.
La Alegiani mescola, impasta nell’album la letteratura classica di William Shakespeare, la musica operistica di Giuseppe Verdi, certe atmosfere alla Kurt Weill, il tutto amalgamato da una sensibilità forgiata nell’avanguardia, non soltanto jazzistica.
Nei nove segmenti si ascoltano suoni fluttuanti, sbilenchi del flauto soffiato o ipersoffiato di Jan Daelman provenienti da lontano che si approssimano minacciosi e propositivi.
I sassofoni di Thomas Jilings e di Ben de Gref utilizzano un idioma analogo e il botta e risposta fra i tre fiati è concorde e stridente allo stesso tempo.
Il pianoforte di Thijs Troch ha movenze e accenti classico-contemporanei, in alcuni frangenti, ma è pronto a lanciarsi in sequenze veloci, piene di ritmo e di swing, salvo ritornare al punto di partenza o cullare sogni in delicate melodie (come in Desdemona’s dream) .
La vocalist è incisiva e insinuante nei recitativi, lirica ed espressiva nelle parti cantate. La voce arriva alternativamente modulata come un sussurro, un sospiro, una carezza. Quando entra in gioco la bandleader qualcosa succede, sempre. La sua presenza è determinante per il sound globale del gruppo, anche se i partners hanno ampia libertà e spazio a disposizione.
Resta da dire di Cappucci e Luongo a basso e batteria, semplicemente perfetti nel captare dove l’aria spira e adattarsi ai cambi di clima, frequenti in tutto il disco.
Il brano migliore fra gli altri è quello eponimo, per un incipit in puro stile cabaret mitteleuropeo, a cui segue una tirata parentesi jazzistica del trio piano-basso-batteria. Quando entrano in scena il flauto e la voce ci si cala in un camerismo free piuttosto inquietante, nobilitato dalla meticolosa attenzione alle sfumature dei testi da parte della musicista romana, per ritornare, infine, alla base, al motivo iniziale.
Fair is foul and foul is fair è, a tutti gli effetti, un disco dove si fa veramente sul serio da capo al fine. Vale a dire che non si trovano, qui, le astuzie o i clichè di certa area sperimentale o di ricerca, più nelle intenzioni che nell’esito artistico conclusivo. In questo disco il settetto, invece, seguendo adeguatamente le idee feconde della Alegiani, allestisce una musica corposa, ricca di riferimenti accademici e antiaccademici, soprattutto ben organizzata e suonata come Dio comanda.