Verve-Emarcy – 3747998 – 2013
Tigran Hamasyan: pianoforte, clavicembalo, celesta, Fender Rhodes, synth, voce
Areni Agbabyan: voce
Ben Wendel: sax tenore, fagotto
Chris Tordini: basso, voce
Sam Minaie: basso
Jean-Marc Phillips Varjabedian: violino
Xavier Phillips: violoncello
David Kiledjan: programming
Jan Bang: programming
Nate Wood: batteria, percussioni
Potrà spiazzare (ma non è che un attimo) l’artefatta mestizia della compunta pianola dell’attacco: nessun indugio rétro, anzi piena ed immediata esplosione di sound per un album che, certo, vive d’impatti decisi ed enormi impellenze ritmiche, ma si richiama pervasivamente all’esigenza di un sentire jazz che nel caso di quest’autore va consolidandosi con coerenti vedute ed energie.
Sorta di bestiario acustico come ci hanno in buona parte resi avvezzi le miscele alla Pat Metheny Group (quelle peggiori, probabilmente) o anche quelle avviate da Weather Report o Return to Forever (quelle originarie e più genuine, fuor di dubbio), il Teatro delle Ombre del “mercuriale e indocile” giovane talento armeno da Gyumri sembra aver ottenuto carta bianca in casa Verve-Emarcy, considerando che l’apparente disinvoltura jazz-pop lungo canoni semi-familiari non minimizza la presa di rischio della persistenza entro formule che apparentano a certe frange del jazz e certamente operano un recupero di ascendenze caucasiche tipiche, ma si palesano poi non canoniche alla fruibilità immediata.
Attingendo a piene mani a storici temi armeni (comprendendo anche la già lungamente elaborata Lament, esposta nella recente esperienza Liberetto) le preoccupazioni di Tigran non sembrano primariamente filologiche quanto semi-involontariamente pedagogiche, non da ora, critica e strategica esigenza del Nostro.
Difficilmente si potrebbe rinfacciare al giovane talento di scegliere vie piane o scorciatoie, ma sarà difficile disconoscere la virulenza delle soluzioni spese: band di Tigran è pervasa da una pressoché continua scossa di temperate violenze cinetiche e da una trance sussultoria già espresse dal proprio corpus discografico e dal performing live, anche in altrui formazioni, nell’elaborazione collettiva di materiali vagamente noti, in realtà falsamente familiari e decisamente distanti dal sentire generalista quali quelli caucasici.
Torrenziale e dilagante la mano destra, in piena il rinforzo della sinistra del leader, drumming multiforme e decisamente molto interventista del già sperimentato Nate Wood, alla vigorosa elettrificazione in live qui corrisponde l’atmosfera resa più bruciante dall’istant performing di Jan Bang (partner in altre formazioni) e delle elettroniche di David Kiledjan, grande duttilità pop della voce di soprano di Areni Agbabyan, cui Tigran s’affianca con ostinazione e in statuaria fissità di canto, insistendo su background vocali apertamente orientalisti (ma nell’insolito canone millenario degli altopiani nativi), esitando in una personale miscela fusion intessuta di figurazioni complesse e contagiose che s’impennano naturali pur nell’evidente elaborazione formale.
Graziato da un’eccentricità che è punto di forza e contagioso colore, il Teatro delle Ombre di Tigran è guazzabuglio ritmico-melodico e circo lirico, lavoro di spiccata tensione formale che non oscura l’importante, talvolta arrischiata vena ludica, di caleidoscopica fruibilità, e che traghetta regole e suggestioni in buona parte private lungo una curiosa, coraggiosa combinazione di cerimonialità informale, non sottraendosi ai rischi dell’arena dello schema libero e della messa in azione degli spiriti interiori.