Suoni, Parole, Ritmi del Mondo

Foto: Carmelo Calabria










Suoni, Parole, Ritmi del Mondo

Genova-Cornigliano, Villa Bombrini. Marzo/Aprile 2015


Suoni, parole e ritmi dal mondo torna per l’edizione 2015 a Villa Bombrini e la sala si riempie in ogni ordine di posto in tutte le quattro serate. Il merito va all’associazione Jazz lighthouse e al suo direttore artistico Fabio Manganaro, un operatore culturale che riesce sempre a realizzare un programma di tutto rispetto, malgrado il budget ridotto a disposizione. Segno evidente che lo spirito di iniziativa e l’entusiasmo possono controbilanciare, almeno in parte, la scarsità di risorse economiche utilizzabili.


Si comincia il 14 marzo con un duo anomalo, fisarmonica e armonica a bocca, suonate da due maestri dei rispettivi strumenti, Gianni Coscia e Max De Aloe. I due hanno collaborato nel 2001 e nel 2003 con la pubblicazione di un paio di dischi fortunati, poi gli incontri si sono diradati. È, quindi, una sorta di reunion questa esibizione dal titolo indicativo “L’anima delle cose”.


Il repertorio scelto tiene conto delle preferenze di Coscia, attraverso omaggi a Gardel, riprese di standards come Yesterdays, dedicata a Billie Hollyday e le solite incursioni nel canzoniere di Gorni Kramer. De Aloe trae dal suo ultimo cd, Borderline, diversi brani e li presenta in una versione inedita, come formazione, poi asseconda il partner e lo mette in condizione di esprimere le sue qualità di intrattenitore. L’armonicista in alcuni pezzi, imbraccia anche lui la fisarmonica, ma la sostanza non cambia. Si ascolta, infatti, un jazz lieve, colloquiale, gradevole. È una chiacchierata fra amici con intermezzi musicali che si inseriscono al meglio nello scambio di battute fra i due protagonisti.


Il pubblico gradisce questo tipo di incontro, all’insegna del garbo e dell’ironia e decreta un sicuro successo alla serata.
Purtroppo non si può rendere conto del secondo appuntamento con il quartetto di Alfredo Ferrario, già ospite della rassegna nel 2014.


L’11 aprile è la volta, invece, del duo Nuance. Al distanza di tre anni dalla pubblicazione del cd omonimo, Elisabetta Antonini e Marcella Carboni rinsaldano una collaborazione mai del tutto interrotta. La cantante nel frattempo ha trovato modo di imporsi come nuovo talento nel referendum del top jazz 2014 e l’arpista ha continuato ad impegnarsi in tanti progetti, licenziando, negli ultimi mesi un disco, “Still chime”, che ha ottenuto lusinghieri giudizi da parte della critica accreditata.


L’esibizione è piacevole e raffinata. Si basa su un certo numero di brani originali, tanto Brasile, lo standard God bless the child, dedicato a Lady Day, pezzi degli Azimuth e di Miles Davis. Proprio Tutu, resa in maniera sanguigna e sofisticata si pone come vertice del concerto.


La Antonini ha una voce bene impostata e sa adoperare al meglio il microfono. L’arpa elettrica della Carboni suona come una chitarra e come un pianoforte. La musicista sarda è la migliore specialista italiana dello strumento e sa trarre dalle sue corde quello che desidera, tale è la padronanza del mezzo artistico..


Ricordando altre performances di Nuance, si può affermare che le due, attualmente, abbiano ridotto il ricorso agli effetti elettronici, puntando maggiormente sul dialogo fra voce e arpa con un uso più parco della tecnologia. In questo modo il timbro complessivo acquista maggiore efficacia, nella sua semplicità.


Anche in questo caso si registrano applausi convinti da parte degli spettatori alla fine del concerto.


Il 18 aprile chiude la rassegna il trio di Alessandro Collina, con Marc Peillon al contrabbasso e Rodolfo Cervetto alla batteria che ospita uno dei più quotati giovani sassofonisti italiani, Mattia Cigalini. Il concerto si intitola “Alto Monk” e si incentra sulle composizioni del grande monaco, con alcune deviazioni su standards non a sua firma, ma eseguiti da “Sphere” in qualche occasione. Il trio affronta il repertorio monkiano in maniera asciutta e sorniona. Provvede Cigalini a imbastire assoli luminosi, sovraccarichi di note, di passaggi complicati, risolti con tecnica impeccabile. Insomma la riuscita dell’esibizione si basa proprio su questo contrasto fra una lettura scarna e ossequiosa del repertorio scelto da una parte e gli assoli sfavillanti del dotatissimo sassofonista piacentino dall’altra. La grande intensità dell’interpretazione di Ugly beauty conclude in maniera consona un’esibizione molto festeggiata dal pubblico presente.


A conti fatti la rassegna ha ancora una volta portato il jazz in una villa splendida collocata, però, in una delegazione periferica genovese contrassegnata da alcune problematiche sociali. È un tentativo meritevole di puntare sull’arte e la cultura in una situazione ambientale piuttosto complessa, come forma di ripresa, per elevare lo sguardo oltre le difficoltà presenti, verso orizzonti più sereni.