Jack DeJohnette – Made in Chicago

Jack DeJohnette - Made in Chicago

ECM Records – ECM 2392 – 2014




Jack DeJohnette: batteria

Henry Threadgill: sax alto, flauto basso

Roscoe Mitchell: sax sopranino, sax soprano, sax alto, flauto di legno, flauto dolce basso

Muhal Richard Abrams: pianoforte

Larry Gray: contrabbasso, violoncello






Probabilmente più avvezzi a considerare il ruolo di Jack DeJohnette entro energici ruoli di supporto bop o ispirative intersezioni mainstream, potremmo misconoscere la sua cittadinanza entro il movimento free, che non è affatto di circostanza: codesto chicagoano purosangue non trova in questo filone (pur nelle limitazioni del termine) un occasionale fronte applicativo, evidentemente non solo per le ultime apparizioni ad esempio nelle ultime falangi di un Wadada Leo Smith. Senza bisogno di scomodare a ritroso i perigliosi laboratori di Bitches Brew e dintorni, o poco risapute performance al fianco di Coltrane (ma “solo” come sostituto di tale Elvin Jones!), fu proprio con fuoriclasse quali Abrams e Mitchell che diede il via ad una propria corposa presenza nell’avant-garde del jazz.


Sorta di nuova “all-free Special Edition” di DeJohnette, ripresa al Chicago Jazz Festival nell’agosto 2013 (cinquantesimo anniversario della AACM), tributa un capitale omaggio almeno alla figura di Muhal Richard Abrams, sempre attivo a «esplorare diverse modalità di comporre ed improvvisare e a dimostrarci tante diverse possibilità», e la reunion s’incentra sul dispiegamento di tutta la patrimoniale esplorazione estetica e ultra-formale (benché alcuni stilemi appaiano per certi versi, e non sembri riduttivo, in parte codificati dal tempo). Di presenza finora inedita presso ECM (diversamente dall’egualmente prolifico o ben attivo Mitchell) i sommi Henry Threadgill e appunto Abrams, così come il meno popolare Larry Gray, in realtà sempre attivo e fuor di panchina sulla piazza di Chicago, nonché prima scelta bassistica di DeJohnette per tale formazione.


Il lacero e magistrale jazz, l’anarchico e altamente responsabilizzato jazz qui elaborato ed agito è sapiente cultura di strada e di lotta; il dolente, curioso e inappagato jazz conformato dall’arte istantanea e radicale dei cinque è pur sempre campale arena espressiva, colosseo risonante delle tenzoni (e rorido di tensioni) di combattenti del jazz-power e personaggi d’estesi spettro stilistico e personalità.


Le coralità salmodianti divampano nelle tensioni implacabili di Chant (insostenibile l’offensiva dei fiati di Mitchell e Threadgill), la poetica eccentrica e a linee spezzate di Jack 5 s’avvicenda a flautati murmuri e pigolii che in This disegnano una mai pacificata ecologia della mente. Introdotto da ondulazioni pianistiche, Museum of Time è ascensione percorsa da tensioni argentee che introducono le agglutinazioni più materiche e il metafisico delirio urbano di Leave don’t go away: iperboli e flashback interiori, grida e sottigliezze s’assortiscono in un patckwork emozionale e pittorico stratificato e sensibile, risalendo alterne correnti fino alla concitata jam Ten Minutes.


«Musica: l’esperienza umana nella sua piena gloria» secondo gli intendimenti, non poi così retorici, del drummer che omaggia e ulteriormente vivifica l’identità chicagoana entro il jazz di ricerca, consolidata dalla presente line-up, stagliandosi definita e forte ben oltre il richiamo del progetto all-stars, che torna ad incarnarla a guisa di manipolo dei suoi più grandi e storici protagonisti, che ne donano e inscenano una multimodale rappresentazione di spettacolo e Storia.



Link di riferimento: player.ecmrecords.com/dejohnette-2392