Federico Lechner – Cartas a mi Padre

Federico Lechner - Cartas a mi Padre

Autoprodotto – 2014




Federico Lechner: pianoforte






Cartas a mi Padre è un disco in piano solo rivolto ad esplorare le connessioni tra pianoforte classico e mondo del jazz e, poi, di conseguenza, alle anime latinoamericane. Se la sintesi del percorso si può facilmente individuare in À la comtesse Donnaleepowa, abile e ironica rivisitazione della parkeriana Donna Lee, in realtà tutto il disco vede Federico Lecchese muoversi alla ricerca di connessioni e punti sensibili comuni alle varie maniere di intendere il pianoforte.


Il discorso colora in modo continuo e tenace lo scorrere delle tracce: nelle mani e sulla tastiera del pianista – argentino di nascita e residente in Spagna – linee, riferimenti e approcci differenti si incrociano per dare al lavoro una particolare caratteristica cangiante: apparire un disco di musica classica o di jazz, a seconda del modo con cui lo si ascolta. In realtà, il rapporto tra improvvisazione e scrittura, tra reinterpretazione di linguaggi e fedeltà ad essi, è una costante nella ricerca operata da Lechner e mostrata in Cartas a mi Padre: la ricerca “corre” trasversale anche all’interno dei singoli contesti, come dimostra, ad esempio, Blues for Winton nel quale emerge particolarmente la vena tristaniana, presente più o meno visibile in molti passaggi del disco, oppure come rivela la rilettura di una pagina di Smetana – Vltava – dalla quale traspare in qualche modo la vena latinoamericana dello stile del pianista.


E, naturalmente, i brani originali rappresentano al meglio l’idea di convergenza stilistica del mondo sonoro di Lechner: in questi ogni elemento viene ad essere sollecitato e concorre al risultato finale. La voglia di smarcarsi dalle etichette si accompagna con una rivendicazione convinta dei passi del proprio percorso stilistico, la curiosità – come si può ascoltare dalla sua viva voce nell’intervista realizzata dopo il concerto allo Zingarò Jazz Club di Faenza – di misurarsi con le tradizioni musicali di ogni provenienza e i maestri che ne hanno permesso le tappe successive per arrivare, infine, a una soluzione personale.


Il disco viene completato da tre frammenti onirici – Sueño I. Infinito Buenos Aires, Sueño II. Güemes, Sueño III. Les Girls – dove il pianoforte viene preparato con oggetti e trattato per mezzo di manipolazioni sonore per dare una ulteriore sfaccettatura al discorso complessivo. Lechner utilizza i suoni in maniera libera, le frasi lasciano spazi larghi e sospensioni, i vari interventi dilatano le sensazioni e il senso di attesa, rispetto a quanto accade normalmente con lo strumento. Utili per segnare l’andamento del disco, i tre Sueños danno ancora maggior profondità alla compenetrazione di linguaggi cercata dal pianista e gli consentono di confrontare le sue composizioni e il suo discorso musicale con una .


Il piano solo diventa perciò un luogo di ricerca interiore e musicale, un territorio dove esistono leggi e consuetudini che possono però essere rimodulate per soddisfare esigenze e intenzioni. E infatti, sin dalla dedica estremamente personale del titolo, Cartas a mi Padre ci mostra un pianista interessato ad utilizzare il formato come laboratorio espressivo, come punto di convergenza dei suoi interessi e delle sue esperienze, come dialogo con l’ascoltatore – spiazzando o accompagnando, a seconda dei casi, le sue aspettative e il suo modo di intendere la musica – e, in fin dei conti, come espressione libera, ricavata dalla conoscenza e dall’utilizzo di linguaggi precostituiti e consolidati, secondo una personale “versione dei fatti”.



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